Ci sono innovazioni pensate per ottimizzare il lavoro e migliorare le performance in termini di efficienza. Pensiamo, per esempio, alle lavabicchieri e alle macchine per il caffè costantemente connesse alla rete e in grado di inviare i dati di telemetria per una verifica continua del loro funzionamento. O ancora alle spine per la birra controllate da computer o ai forni compatti dalle performance mirabolanti. Ma ci sono innovazioni che mutano gestualità, modi di servizio e, addirittura, il ruolo del personale all’interno di un bar. Il fatto, per esempio, di inserire un’interfaccia touch screen in una macchina per il caffè migliora sicuramente la facilità d’uso, ne moltiplica le possibilità in termini di funzionalità ma fondamentalmente non cambia le modalità di servizio. Agli occhi del frequentatore di un bar sempre di una macchina per il caffè si tratta e il barista, a sua volta, non deve cambiare il modo di interfacciarsi con il cliente. Ma se la macchina per il caffè si trasformasse in una sorta di spina da birra incorporata nel bancone, anche se produce un espresso assolutamente identico a quello tradizionale, le cose cambiano radicalmente. Il barista, per “estrarre” la tazzina, deve cambiare quasi completamente gestualità. Inoltre non è più costretto a dare la schiena al pubblico, ma lo può guardare negli occhi, cambiando completamente il tipo di comunicazione e di rapporto. L’ospite, a sua volta, non può non accorgersi della profonda novità di una soluzione di questo tipo. Ecco, in un caso come questo, parliamo di una tecnologia reale e non di fantasia. È stata sviluppata da Modbar insieme agli ingegneri de La Marzocco e svolge una funzione di supporto all’uomo non soltanto perché lo aiuta a svolgere al meglio il suo mestiere, ma anche perché gli consente di ripensare il business, di trasformare un servizio fatto tradizionalmente in qualcosa di completamente diverso.
Robot bartender
Volete un altro esempio? Chi lo scorso giugno è capitato ai Murazzi, una delle zone della movida di Torino sulle sponde del Po, senz’altro lo ha notato. Makr Shakr (nella foto) è un robot bartender ideato dallo studio di progettazione Carlo Ratti Associati. I suoi due bracci robotici arancioni sovrastati da 158 bottiglie di spirit e liquori sono in grado di creare un numero virtualmente infinito di cocktail ad alta velocità, fino a 120 drink all’ora. Il tutto all’interno di una cella allestita con i due robot, prodotti dalla tedesca Kuka e nati per impieghi industriali, e con tutta una serie di dispositivi accessori, dalla macchina per il ghiaccio ai dispenser di soda e succhi, dalla rastrelliera per i bicchieri ai taglieri per affettare frutta e limoni. Operazione, quest’ultima, ancora riservata all’uomo, che ha anche il compito di supervisionare il corretto funzionamento di tutto il sistema.
Carlo Ratti, l’inventore di Makr Shakr, è un architetto e ingegnere che al MIT di Boston insegna Pianificazione e tecnologie urbane e dirige l’avveniristico Senseable City Lab, dove si sperimentano nuove soluzioni e tecnologie per la vita urbana del futuro e, perché no, introdurre un nuovo modo di pensare alle cose che facciamo tradizionalmente sempre nella stessa maniera. Ha sviluppato l’idea del robot bartender già dal 2013 (a Makr Shakr “sfidato” dal maestro bartender Dario Comini abbiamo dedicato la copertina di Bargiornale giugno 2013, ndr), ma solo ora lo ha portato al livello di sviluppo di un vero e proprio prodotto acquistabile sul mercato. Il prezzo non è popolare, 99.000 euro, ma è anche possibile noleggiare tutta la cella robotica. Di più: lo scorso giugno, a Las Vegas, è stato anche inaugurato il primo locale che lo utilizza, allestito al Planet Hollywood Resort & Casino di Las Vegas sotto l’insegna Tipsy Robot. Un nuovo concetto di locale, dove le cose “fatte a mano”, come il food, si incrociano con quelle fatte dalla macchina. Attraverso un display si può ordinare il cocktail desiderato, pagarlo e trovarlo pronto sul bancone in men che non si dica. Makr Shakr, ma anche la “spina” per fare il caffè incorporata nel bancone, sono esempi lampanti di come l’innovazione possa trasformare il bar e perfino ispirare nuovi concetti e format. L’incontro tra tecnologie digitali e progettisti che pensano a nuove soluzioni per la somministrazione e la ristorazione sta infatti introducendo una nuova generazione di concept.
Ristoranti automatici
I primi a muoversi, nel cercare di utilizzare le soluzioni hi-tech in maniera innovativa, sono soprattutto le catene internazionali. Come Pizza Hut, che in uno dei suoi punti vendita a Seul, in Corea del Sud, ha iniziato a testare il robot cameriere Dizzy Plate, ideato da una startup statunitense, la Bear Robotics. Dizzy Plate è una sorta di vassoio montato su una base con ruote, in grado di muoversi all’interno dei locali (a patto che non ci siano scalini) grazie alla capacità di percepire la presenza di ostacoli e di evitarli. Una tecnologia ormai consolidata, di cui sono dotati non soltanto i carrelli robotici utilizzati nei magazzini delle industrie alimentari o degli ospedali, ma anche gli aspirapolvere robot che vengono impiegati nelle nostre case.Robot di questo tipo richiedono ancora un’attenta supervisione da parte del personale “umano”, che quindi non vede minacciato il proprio ruolo da oggetti al momento essenzialmente dimostrativi, pensati soprattutto per fare da attrazione. Altre tecnologie, invece, consentono di automatizzare alcuni aspetti del servizio, aprendo la strada a nuovi format self service. Le soluzioni più semplici, in questo campo, sono le vetrine refrigerate che si aprono automaticamente all’avvicinarsi dell’avventore, per consentire il libero servizio e al tempo stesso conservare meglio il prodotto.
A tutta interattività
Ma un’interessante evoluzione è rappresentata dai contenitori refrigerati ed ermetici per alimenti, che si possono sbloccare alla lettura di un codice stampato sullo scontrino o dai terminali da cui si digita l’ordine. Una tecnologia di questo tipo è stata utilizzata dalla catena britannica Eatsa per creare un concept di pokè bar dove l’ospite può comporre il proprio pokè hawaiano in totale autonomia e con gli ingredienti che desidera al momento.
L’interattività è protagonista anche nella comparsa di nuovi tipi di jukebox che, nell’era di Spotify, YouTube e Instagram, cercano di mantenere viva la tradizione di un oggetto tecnologico tipico del bar. Si va dai jukebox per vinili con connessione bluetooth, per trasmettere anche musica on line, a quelli che ognuno può governare dal tavolo con un’apposita app e che si trasformano pure in cabine fotografiche per realizzare selfie e inviarli sul proprio smartphone.