Gli italiani amano sempre di più frutta e verdura. Secondo Coldiretti, nel 2017 in Italia sono stati consumati circa 8,5 milioni di tonnellate di prodotti dell’ortofrutta, con una crescita di oltre il 3% rispetto al 2016 ma, soprattutto, un livello mai raggiunto da inizio secolo. I prodotti del frutteto più apprezzati sono mele e arance, non soltanto a casa, ma anche nel fuori casa e al bar dove, sostiene l’associazione dei coltivatori, “si affermano i consumi di smoothies, frullati e centrifugati”. La frutta piace, secondo il rapporto di Coldiretti, divulgato il 21 gennaio scorso, soprattutto perché “i consumatori (ben il 64%) ritengono che la freschezza sia la sua caratteristica principale, perché è stagionale (51,4%) e anche perché è conveniente (31,7%). In particolare l’aspetto e il profumo sono i fattori che indicano maggiormente al consumatore la freschezza dei prodotti ortofrutticoli, ma grande rilievo viene dato anche al luogo di acquisto come il mercato o direttamente dal produttore”. Un suggerimento anche per il bar, quindi, che può esplicitare ai suoi avventori i suoi canali di fornitura, soprattutto se annoverano produttori a chilometro zero o biologici.
Ma quello che fa riflettere, in questa svolta salutista e “vegetale” dei consumi, è l’alta percentuale di giovani, che fanno sempre più attenzione al benessere a tavola. Un dato che lascia presagire come non si tratti di una moda passeggera quella della frutta e della verdura, ma destinata a durare nel tempo. Con ovvie conseguenze anche per i gestori di locali pubblici. Anche se sul mondo del bar e del fuori casa in generale è assai difficile dare una misura al fenomeno indicato da Coldiretti.
La freschezza in primis
Frullati, centrifugati, succhi e smoothies sono davvero sempre più graditi dagli italiani? Lo abbiamo chiesto a Formind, società di servizi e di consulenze per le imprese che ha messo a punto un sistema di monitoraggio dei consumi reali nei bar italiani, denominato MindForHoreca. Si tratta di uno strumento di rilevazione direttamente sul punto vendita, su un campione di oltre 7.000 esercizi in tutta Italia, che tiene in considerazione le voci merceologiche battute negli scontrini e attraverso il quale è possibile individuare quali produttori, brand, gusti e formati sono scelti dagli avventori. «È un sistema studiato per le aziende del settore food & beverage - spiega Antonio Faralla, amministratore unico di Formind - e, nel suo ambito, il consumo di prodotti freschi, cioè preparati sul momento nel bar, ci interessa in quanto alternativo o concorrente del prodotto confezionato. Non rileviamo quindi il dettaglio del tipo di frutto o di verdura che il consumatore vuole nel suo frullato o nel centrifugato, ma un trend generale, che ci dice in modo molto chiaro che il consumo di bevande a base di frutta o verdura fresca in questo primo scorcio del 2017 è cresciuto di oltre il 20% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». Sono cresciuti in modo esponenziale anche i punti vendita che li propongono: una percentuale tra il 35% e il 45% dei bar italiani che in totale sono circa 150.000 (fonte Fipe). «Soltanto due anni fa - dice ancora Faralla - non più del 3% dei locali pubblici italiani offriva centrifugati o frullati freschi. Locali di nicchia, che puntavano a una clientela “alta” in termini di capacità di spesa. Anche perché questi prodotti vengono venduti a prezzi oscillanti tra i 4 e i 6 euro, decisamente più cari rispetto a un succo di frutta o a un succo d’arancia fresco».
Fino a poco tempo fa, insomma, in pochi erano disposti a spendere per un bicchiere di frutta e verdura frullate una cifra equivalente a quella di un piatto di pasta o a una pizza. Oggi invece moltissimi consumatori lo fanno di buon grado. Lo dimostra anche il fatto che stanno aumentando i locali che propongono addirittura una carta dei centrifugati o dei frullati o che fanno del benessere in “formato liquido” un vero e proprio punto di forza. Se un tempo non esistevano praticamente bar tematici, tranne poche eccezioni come Viel a Milano, oggi sono diversi i format dedicati ai concentrati di freschezza e salute in bicchiere come JuiceBar o Fruteiro Do Brasil, ma sono ancora di più quelli che propongono centrifugati ed estratti al di là di una specifica specializzazione merceologica o vocazione tematica. In realtà, il “benessere”, grazie anche ad attrezzature sempre più evolute, è ormai a portata di qualsiasi locale che voglia strutturare una proposta wellness. (“La salute vien... socializzando” in Bargiornale, gennaio 2018, pagine, 52 -57).
Ma a chi si rivolgono questi locali? «Il consumatore di questo tipo di prodotto a base di frutta, salutare, mediamente caro rispetto allo scontrino del bar - segnala Faralla - è over 30, con una prevalenza femminile e residente in genere nelle grandi città. È attento all’alimentazione, che deve essere salutare, tanto che il centrifugato o il frullato sono sempre di più consumati a pranzo e non soltanto a colazione o a metà pomeriggio, come avveniva una volta».
Margini più elevati
Il profilo indicato da Faralla coincide con quello che emerge da una recente ricerca condotta dall’Istituto Ixè sugli italiani e le diete. Il 49% degli intervistati indica di seguire una dieta e, tra questi, il 16% afferma di avere un regime alimentare “detox”, cioè disintossicante e purificante, basato sul consumo di prodotti vegetali e, in larga misura, di frullati, centrifugati ed estratti. La percentuale più alta dei seguaci della dieta detox, il 28%, ha un’età compresa tra 35 e 44 anni, mentre il 45% ha una scolarità medio-alta e il 27% è di classe sociale elevata. Va detto, comunque, che nell’economia del bar, frullati&co. costituiscono ancora un prodotto marginale rispetto al fatturato. «Sono trasversali - spiega Faralla - nel senso che li possiamo trovare ormai in tutte le tipologie di bar. Per il gestore sono tuttavia interessanti, anche a fronte di limitati volumi di vendita, perché qualificano il bar agli occhi del consumatore e dimostrano l’attenzione all’alimentazione naturale e, indirettamente, alla salute del cliente. Inoltre, la componente manuale e artigianale che serve per produrli giustifica il margine decisamente più elevato che si può praticare su questo tipo di prodotto anche rispetto a qualcosa di molto simile come la spremuta d’arancia». Per una spremuta il cliente è in genere disposto a spendere non più di 2,50 o 3 euro, per un centrifugato può arrivare anche a 6 euro. «Altra differenza tra i due prodotti - conclude Faralla- è che centrifugati o estratti non sono legati a una stagionalità e sono richiesti tutto l’anno, mentre i consumi di spremute crescono decisamente in estate».