Effetto beatles e la disco rivive

One night –

L’epopea del quartetto di Liverpool rivive all’interno di un evento di matrice spagnola che coinvolge giovani e adulti. Il suo segreto? Essere controcorrente

La discoteca del futuro? Quella dove il pubblico, piuttosto che muoversi freneticamente assecondando i ritmi della techno e della house, si incontra sulla pista da ballo e intona “Give Peace a Chance”, il famoso inno pacifista di John Lennon, magari tenendosi per mano. Il tutto in un clima da kermesse teatrale dove su un enorme letto che sovrasta gli spettatori un chitarrista dai capelli lunghi ripropone la celebre performance dello stesso Lennon con Yoko Ono nella camera numero 1902 (oggi 702) dell’Hilton Hotel di Amsterdam: la coppia, che stava trascorrendo la luna di miele, rimase a letto un’intera settimana, dal 25 al 31 marzo 1969, per protestare contro la guerra in Vietnam. Non è uno scherzo, ma una delle immagini che, con maggiore frequenza, si materializzano nei club, in ogni angolo del mondo, dove vanno in scena le serate “Flower Power”. Si tratta di un “format” inventato negli anni ‘70 da Piti Urguell, che, col fratello Ricardo, è stato l’imprenditore catalano che ha fatto nascere il Pacha di Ibiza, il club delle due ciliege rosse. Forse la discoteca più famosa di tutti i tempi e, comunque, quella che meglio di tutte ha interpretato nell’universo della notte il concetto di “franchising”, con la capacità di replicare in giro per il mondo format, locali e “one night” entrate ormai nella storia dell’intrattenimento notturno. E, oggi, dopo aver invaso il pianeta con realtà gemelle del club “madre” di Ibiza, da New York a Casablanca, gli Urguell ripropongono la famosa “one night” nata una quarantina d’anni fa soddisfando un bisogno diffuso: quello di un ritorno a un’età dell’oro, quella appunto degli anni ‘70, dove tutto, anche l’ utopia più radicale, sembrava possibile.

Una “one night” fuori dalle mode

Difatti “Flower Power” non è altro che una perfetta operazione di “modernariato” culturale applicato alla discoteca. A iniziare dal logo, che è quello del movimento pacifista, per proseguire dal look consigliato, rigorosamente in linea con l’abbigliamento di ispirazione hippy, agli allestimenti, che sembrano usciti da fotogrammi del film su Woodstock, sino, naturalmente, all’elemento centrale, la musica. Niente disco, niente ritmi elettronici minimali, diventati ormai uno standard. Il suono di Flower Power è rigorosamente rock con ballate d’epoca caratterizzate da chitarre elettriche e tastiere “progressive” e con in scaletta i nomi più blasonati del sound Seventies: dai Led Zeppelin ai Pink Floyd e ai Beatles, dalla Allman Brothers Band ai Grateful Dead di Jerry Garcia. Dunque, nessuna concessione alla modernità e soprattutto nessun ammiccamento a mode o a stili di vita contemporanei. Ed è questa la chiave del successo di Flower Power. Essere una festa unica, controcorrente e che arriva al cuore di un pubblico che ha già raggiunto, in larga parte, l’età adulta. È accaduto con le “premiere” spagnole lo scorso ottobre a Barcellona e a Madrid, e avviene, regolarmente, in ogni città dove la “one night” sbarca. È successo anche in Italia, sempre lo scorso ottobre, in occasione della prima al Peter di Riccione. Il locale “storico” della Romagna sembrava diventato il set del film “Blow Up” che Michelangelo Antonioni dedicò alla Swinging London. Un esperimento riuscito che ha riportato nelle notti italiane i colori e il clima di una festa in casa tra vecchi amici. Che è forse quello che in Italia nel mondo della notte manca.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome