
A Bologna ho incontrato un signore che con un giro di parole mi ha fatto capire che a Bologna c'è il mare. Cochi e Renato perdonino la perifrasi della loro A me mi piace il mare, ma tutto deve avere un inizio e questo ci è sembrato un bel modo di partire. Intendiamoci, quello di Bologna non è il mare che ti spettina e ti lascia il sale sulle labbra, o dei gabbiani che ti fregano la focaccia, ma quello che ti scombina i ricordi. Il mare degli anni Ottanta, delle estati infinite con i piedi incollati alla sabbia e i gelati confezionati che si scioglievano troppo in fretta per essere veri. Il mare che oggi, nel cuore della città, si trova al cocktail bar Velluto, grazie ad Antonio Gigante e Saverio Vaccari, che con la drink list Tutti Frutti hanno avuto il coraggio di fare ciò che in fondo tutti sogniamo: riportare l’estate di quando eravamo bambini in un bicchiere da adulti.
C’è dentro tutto: la nostalgia che pizzica come l’acqua fredda sulle caviglie, la leggerezza di un video che omaggia Baywatch - sì, quello con i costumi rossi e le corse al rallentatore - e la precisione chirurgica di chi sa che dietro ogni sorriso c’è un grammo pesato, una temperatura calibrata, una texture studiata per sorprendere. Perché dietro l’ironia pop c’è una tecnica da gente che ne sa.
Tecnica sopraffina e immaginario pop
Gli anni Ottanta erano fatti di colori sparati e sogni low cost prima che la dizione “low cost” entrasse nel vocabolario popolare. Ci bastava un ghiacciolo all’arancia per credere di avere il mondo in mano. Tutti Frutti parte proprio da lì, dai gelati confezionati di quell’epoca, e li trasforma in cocktail da quattordici euro che sono piccoli oggetti scenici, controfigure di buon gusto. Prendiamo l’Ariallera, servito in una tazza da gelato come fosse un cimelio d’infanzia trovato in un mercatino delle pulci. Il Tanqueray Ten incontra il Lillet Rosé e il pompelmo, mentre l’Amarena Fabbri aggiunge quella nota di dolcezza nostalgica, quasi rassicurante, molto bolognese. L’aria ai frutti rossi, leggera e impalpabile, è la parte più ludica ma anche più intrigante: al naso arriva prima l’esplosione fruttata, poi in bocca l’equilibrio tra agrumi e fiori lascia spazio a un amaricante elegante, da sorbetto adulto. È il drink che sa come sorridere, ma anche come colpire di fino.
Il Fior di Frigola è invece un aperitivo con l’anima da divo, quello che arriva in scena dentro un mini-frigo, nell’era del “Frigobarman”, già questo dice tutto sullo spirito del progetto. Dentro, un Vermouth Martini Riserva Speciale Ambrato che incontra un infuso di fragola e Milky Oolong, completati dallo Champagne Lallier. L’effetto? Prima la sorpresa visiva, poi l’assaggio che gioca in punta di fioretto: floreale, morbido, quasi cremoso al palato, con note di fragranza fruttata che si rincorrono come luci al neon su un lungomare romagnolo ai tempi d’oro delle sale giochi. È un drink che si apre lentamente, come un tramonto che non ha fretta di chiuderla lì.
E poi c’è il Nanopistico, che è un colpo di scena in verde brillante: vodka Beluga come base solida, ma poi mela verde, cetriolo e avocado a dare quel twist vegetale che rende tutto più sorprendente. La Ginger Beer Sanpellegrino chiude con una spinta frizzante e speziata, e il risultato è un cocktail che non si limita a dissetare: rinfresca, stuzzica, e lascia in bocca una traccia erbacea, quasi balsamica. Un po’ Bob Marley, un po’ Sting per dirla in note. È il più contemporaneo dei tre, ma non rinuncia a quel tocco giocoso che fa parte dell’identità di Tutti Frutti.
Ogni drink un ricordo interpretato con ironia
Questa lista è una dichiarazione d’intenti come fu per il primo motorino “Ciao” pagato a rate: dietro i bicchieri insoliti, i nomi scherzosi e le cartoline che trasformano Bologna in una città di mare c’è una costruzione organolettica precisa. Le temperature sono studiate per creare contrasti - dal sorbetto che ti rinfresca la lingua alla sensazione vellutata di un tè latteo - mentre le consistenze cambiano a seconda del drink, passando dal cremoso al frizzante per stimolare più sensi contemporaneamente. La palette aromatica è coerente: frutta, agrumi, tocchi tropicali e dolcezze mai eccessive, tutto bilanciato con spiriti premium e ingredienti freschi.
Ma la forza di Tutti Frutti non è solo tecnica, un po’ come Chuck Berry che con tre accordi e un passo d’anatra ti fregava l’anima: lì non era questione di virtuosismi, era un colpo basso al cuore, roba che ti faceva venire voglia di vivere più in fretta. È che, mentre bevi, ti ritrovi a pensare a quelle estati passate davanti a una tv che trasmetteva Baywatch - e tu, ragazzino, credevi che il mondo fosse un posto dove tutti correvano rallentati, belli e abbronzati, pronti a salvarti, anche se l’unico pericolo era la noia. Gigante e Vaccari hanno preso quell’immaginario e l’hanno sporcato di ironia e malinconia: perché crescere significa capire che i gelati si sciolgono, i bagnini non arrivano sempre in tempo e le vacanze finiscono.
E allora ecco il bar che si prende gioco di tutto questo, ma lo fa con la serietà di chi conosce i fondamentali. Perché ogni drink è un ricordo, sì, ma è soprattutto un cocktail che funziona: preciso, curato, con una regia invisibile dietro la battuta. Velluto è quel genere di posto dove ti fanno ridere, poi ti fregano con la sostanza, e tu sei felice di essere stato fregato. E quando finisci l’ultimo sorso, ti resta la sensazione di aver appena scartato il gelato sbagliato ma, per qualche motivo, era proprio quello giusto.
 
             
		 
                             
                             
                             
                             
                             
                             
                            

