Truccare le slot? È frode informatica

Norme&fisco –

Una sentenza della Cassazione ha escluso il più grave reato di peculato per il caso di un gestore di bar che, d’accordo con il concessionario, aveva “elaborato” alcuni videogiochi in modo da trasformarli, all’occorrenza, in apparecchi con vincite in denaro

Sul fatto che truccare i videogiochi per trasformarli in newslot sia reato non ci piove. Ma, secondo la  Cassazione, si tratta di frode informatica, non di peculato. Una precisazione che fa la differenza, dal momento che la frode informatica è un reato contro il patrimonio mentre il peculato è un reato contro la pubblica amministrazione, e quindi più grave.
La seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 18909/13, si è pronunciata sul caso del gestore di un bar che aveva “elaborato” alcuni dispositivi di abilità e intrattenimento (comma 7 dell’articolo 110 del Tulps) rendendoli «apparecchi da gioco che producono vincite» (comma 6 dello stesso articolo).

Un trucco truffaldino...
All’interno degli apparecchi c’erano schede che consentivano due tipologie di giochi: uno di abilità, con cui la macchina si avviava automaticamente, e uno di newslot (irregolare) che si avviava dopo aver premuto una combinazione di tasti che variava in base all’apparecchio. Una vera e propria truffa. Si passava da un gioco senza premi, incentrato sull’abilità del giocatore, a un gioco che assegna le vincite in modo aleatorio. E - aspetto rilevante - da un regime fiscale all’altro. Per l’intrattenimento è previsto infatti il pagamento di un’imposta forfetaria, mentre per le slot ci deve essere un collegamento telematico con i Monopoli che consenta di controllare il flusso e il numero effettivo di giocate e la percentuale di vincite destinate allo Stato. Non solo. Gli apparecchi comma 6 devono garantire una percentuale di vincite sul giocato pari al 75% su un ciclo di 140mila partite: un parametro che ovviamente veniva ignorato dalle macchinette truccate, grazie alla manipolazione fatta da esercente e concessionario. Senza collegamento, il titolare della concessione non ha così versato allo Stato l’imposta (Preu) pari al 13,5% delle somme giocate.

...ma non è peculato
La Suprema Corte ha sostenuto che per il barista non c’è concorso tra il reato di frode informatica (art. 640 ter del Codice penale) e quello di peculato (art. 314 Codice penale): secondo i giudici c’è infatti incompatibilità logica tra i due reati. Si ha peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si appropria del denaro della Pubblica amministrazione avendone già il possesso. C’è invece truffa quando, «non avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e i raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta». Quindi bisogna guardare al momento in cui avviene l’appropriazione del denaro che spetterebbe allo Stato. Se è successivo alla “sistemazione” dell’apparecchio, si tratta di frode informatica, un delitto contro il patrimonio.

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