Grossisti, il mercato è degli associati

Osservatorio –

I distributori di bevande che fanno parte di gruppi sono il 40% del totale ma si accaparrano il 67% della quota di mercato. Nel 2015 il loro peso si prevede arriverà al 75%. Ma gli indipendenti, pur avendo dimensioni minori, mostrano una produttività simile

Un mercato più concentrato, con meno protagonisti e sempre più nelle mani dei gruppi associati: è la fotografia del comparto dei distributori di bevande per il settore horeca emersa all’incontro “Associazionismo e indipendenza. Le ragioni di una scelta rispetto a un mercato che cambia” organizzato da Cda a Senago (Mi).
Secondo Lucio Roncoroni, direttore di Cda, il peso dei grossisti associati è destinato a crescere: «Il mercato horeca nel 2011 vale oltre 3,2 miliardi di euro. A spartirselo sono circa 3.400 operatori, la metà dei quali non supera i 2 milioni di euro di fatturato annuo. Le aziende sopra questa soglia sono 1.732, 700 dei quali appartengono a gruppi. La concentrazione è destinata a crescere: se oggi il 67% del mercato è in mano al 40% dei grossisti, tutti associati, nel 2015 prevediamo che il 75% del giro d’affari sarà sviluppato dal 30% dei grossisti». Il peso degli associati è in continuo aumento: «Siamo passati da una quota di mercato del 40,8% del 2004 al 49,4% del 2010 - afferma Roncoroni -. E per il 2012 stimiamo di arrivare al 54%».
Le analisi sviluppate da Cda evidenziano nella dimensione il principale elemento di distinzione tra associati e indipendenti, che sul fronte del conto economico e della produttività presentano invece performance simili. Il fatturato medio dei grossisti associati è infatti pari a 3,1 milioni di euro contro il poco più di un milione degli indipendenti.

Produttività simile

Gli associati servono più clienti (una media di 408 ad azienda contro i 130 degli indipendenti) ma registrano fatturati medi annui per punto vendita lievemente inferiori a quelli degli indipendenti: 6.278 euro per i bar (6.378 euro la media degli indipendenti) e 12.780 euro per il canale serale (13.150 il dato per gli indipendenti).
Il mix di canali è lo stesso per entrambi i tipi di azienda: dai bar viene il 51% del fatturato, dal canale serale il 18%, mentre il rimanente 31% viene dalla ristorazione.
La produttività non presenta invece differenze significative. «Le aziende più performanti - spiega Alberto Scola, responsabile pianificazione strategica di Progettica - sono quelle che hanno saputo costruire una forte leadership territoriale. L’appartenenza o meno a consorzi, da questo punto di vista, ha dimostrato poca influenza». «Il beverage - afferma Roncoroni - copre circa il 30% del fabbisogno di un locale. E in media ogni locale è servito da 2,5 grossisti».
In ogni provincia italiana, in media, operano 15 grossisti: 6 associati (con una media di quattro venditori l’uno) e 9 indipendenti (1,26 la media dei venditori).

Fornitori concentrati
Il 59% del fatturato dei grossisti deriva dai dieci maggiori player del mercato, con in testa Coca-Cola e Heineken, seguite da Peroni, San Pellegrino, Campari e Inbev.
Limitando l’analisi ai grossisti associati, i top 10 pesano un po’ meno: il 48% del fatturato. I primi 20 dei 2.500 produttori presenti sul mercato assorbono il 75% del fatturato.
Un dato che emerge con forza sono i forti risparmi che si potrebbero ottenere dalla razionalizzazione dei portafogli: «Sul mercato - spiega Roncoroni - sono presenti circa 21mila referenze. Con le prime 160 i grossisti associati fanno il 50% del fatturato. E se prendiamo in considerazione le prime 500, arriviamo al 70%». Conti alla mano, significa che le residue 20.500 referenze si spartiscono una torta di meno di 650mila euro, ovvero una media di circa 32 euro a referenza.


Insieme per gli sconti

Il principale collante che tiene insieme gli associati sono i vantaggi economici attesi. Lo ha confermato una ricerca realizzata da Cfi Group per conto di Cda (32 risposte su 69 grossisti intervistati): “avere più forza contrattuale con l’industria” e “avere più sconti/migliori condizioni economiche” sono stati i motivi indicati dall’83% dei rispondenti. Giudicato utile anche il ruolo di “facilitatore” del gruppo: “poter condividere i miei problemi con altri colleghi” e “avere la possibilità di scambiare idee e opinioni con altri colleghi” sono stati votati dal 67%.
Quanto ai giudizi di merito, il 42% ritiene che quello che funziona meglio nei consorzi è l’ottenimento di sconti e di migliori condizioni economiche, il 33% la condivisione di problemi con altri colleghi.
La principale nota dolente è la forza contrattuale con l’industria: il 33% la ritiene inadeguata o insufficiente.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome