Prezzi in calo per chi vuol comprare un bar

Osservatorio –

Maggiore disponibilità di spazi commerciali, liberalizzazione delle aperture e discesa degli incassi rendono meno dispendioso l’acquisto di un bar. Ma non mancano le insidie, specie per i neofiti. I consigli dell’esperto e i fattori da valutare per l’acquirente

Nelle compravendite di bar, il punto di riferimento sono gli incassi: ma mezzo milione di ricavi all’anno non pesano ovunque allo stesso modo. In centro a Milano infatti può portare a valutare l’esercizio fino a 700mila euro, in periferia a Firenze il proprietario che volesse cedere il locale farebbe fatica a ottenerne 300mila. Sono cifre che si possono ricavare dal borsino nazionale dei valori delle aziende commerciali redatto dalla Fimaa, la Federazione dei mediatori d’affari aderente a Confcommercio. I valori, di cui riportiamo un estratto nelle tabelle di queste pagine, sono scesi negli ultimi anni per due ragioni: «La prima è la contrazione del giro d’affari - spiega Giovanni Larini, presidente de La Lombarda immobiliare, società specializzata nell’intermediazione immobiliare e merceologica e coordinatore del borsino della Fimaa -. Poiché il valore di vendita di un pubblico esercizio è di norma costituito da un moltiplicatore degli incassi, è evidente che comprare costa meno. La seconda ragione è normativa: per avviare un pubblico esercizio dall’estate del 2012 non è più necessario avere una licenza. Basta infatti disporre di un locale idoneo sotto il profilo igienico sanitario e inviare la Scia (segnalazione certificata di inizio attività, ndr) al Comune».
Siccome la disponibilità di negozi vuoti certo non manca, molti si improvvisano gestori di bar. Non pagano nulla per rilevare una vecchia azienda ma quasi sempre pagano in breve tempo con gli interessi lo scotto dell’inesperienza.
«Se non si ha un’idea precisa di che cosa voglia dire gestire un bar - afferma Larini - è assolutamente sconsigliabile acquisire un locale vuoto, specie se l’area in cui si trova è già satura. Un bar, a meno che non sia altamente specializzato, ha un bacino di un’utenza che di norma non supera i 200-300 metri di diametro. Ed è molto difficile riuscire a togliere clienti ai locali già operanti che funzionano».

I criteri di valutazione

I principali fattori da considerare per la stima del prezzo di un esercizio pubblico sono quattro. Il primo è il valore della merce che chi cede il negozio lascia a chi gli subentra; il valore è di facile determinazione, è il prezzo di costo di tutto quello che può essere venduto al pubblico; poco problematico anche un secondo aspetto, il valore degli arredi e delle attrezzature: per convenzione si computa in 8 anni il periodo di obsolescenza delle attrezzature. La differenza finisce per incidere sul valore dell’azienda tra il 10% per un ristorante e il 15% per un bar.
Il terzo criterio per le definizione del prezzo è l’avviamento commerciale: «Si tratta - riprende Larini - dell’aspetto gran lunga più importante e più difficile da definire: bisogna valutare come è gestita un’azienda, da quanto tempo è presente sul mercato, il ricarico sulle merci, il trend di vendita degli ultimi anni, la fidelizzazione della clientela. In particolare, su quest’ultimo aspetto è fondamentale capire quanto il cambio di proprietà potrebbe influire sull’afflusso di pubblico». La valutazione economica non può basarsi solo su dati ufficiali, ma richiede anche verifiche sul campo e ragionamenti per identificare il reale giro d’affari, non dissimili da quelle che compierebbe una banca prima di dare un affidamento. «Il consiglio - spiega Larini - è affidarsi alla valutazione di un esperto indipendente, mentre è rischioso ricorrere a sistemi empirici come il conto degli espressi venduti». Va da sé che il venditore deve dimostrarsi collaborativo nel mettere a disposizione le informazioni: se vuol vendere non può certo invocare la privacy...
Quasi sempre chi avvia un bar lo fa in un locale preso in affitto: il canone di locazione è il quarto basilare fattore di valutazione. «Prendiamo ad esempio un pubblico esercizio che fattura 600mila euro all’anno - spiega Larini -: può spendere 150mila euro per pagare sei dipendenti; e se anche fa lavorare i familiari, il guadagno va comunque suddiviso. La merce incide in media per un altro 25%; il 10% va per pagare le rate di leasing o le cambiali fatte per l’avviamento dell’esercizio, un altro 10% in spese di gestione (utenze, commercialista ecc.). Rimane un 30% dal quale vanno ricavati il profitto lordo dell’esercente e il canone di locazione. Se quest’ultimo incide per oltre il 12-15%, si rischia di lavorare in perdita».

3 Commenti

  1. Chiedo un parere a Voi esperti nel settore
    Voglio rilevare un bar 80mq aperto circa 4 mesi pertanto l’arredamento e nuovo incasso giornaliero euro 250, lavoreremo io e mia moglie, il costo e di circa 20000 euro,cittadina di 30000 abitanti semi entro ,mi date un consiglio.
    Grazie
    valerio

    • Buongiorno signor Di Bernardo, manca un elemento importante per valutare, e cioè l’affitto annuo da pagare. Comunque 250 euro al giorno di incasso anche se non ci sono spese di personale certo non consentono di arricchirsi, consdierando che l’incidenza media delle spese è in genere valutata al 70% degli incassi. Per considerare l’acquisto bisognerebbe avere un’idea precisa su come aumenatre gli incassi. E comunque resta un dubbio? Perché chi gestisce il bar lascia solo dopo 4 mesi?
      Gino Pagliuca (redazione)

  2. Buongiorno, manca un elemento importante per valutare, e cioè l’affitto annuo da pagare. . Comunque 250 euro al giorno di incasso anche se non ci sono spese di personale certo non consentono di arricchirsi, consdierando che l’incidenza media delle spese è in genere valutata al 70% degli incassi. Per considerare l’acquisto bisognerebbe avere un’idea precisa su come aumenatre gli incassi. E comunque resta un dubbio? Perché chi gestisce il bar lascia solo dopo 4 mesi?
    Gino Pagliuca

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