Districarsi tra i canali distributivi, le regole per acquistare al meglio

Gestione –

L’ingrosso si conferma la principale fonte di approvvigionamento per i pubblici esercizi, seguita dall’industria e dal cash&carry. Nello scegliere dove comprare i prodotti, è fondamentale considerare, oltre ai prezzi dei prodotti, i costi impliciti

Non solo rivenditori di beni e servizi, ma anche compratori. Come tutti gli esercizi commerciali, anche il settore della somministrazione deve fare i conti con l'acquisto di materie prime, siano essere prodotti finiti o semilavorati. Dal caffè alla bottiglia d'acqua, passando per il pane per i tramezzini o il burro per i croissant: ogni giorno i titolari di bar devono fare scelte legate a cosa e quanto acquistare, ma soprattutto dove e da chi.
Ad analizzare in profondità il mercato dei canali distributivi ci ha pensato Giovanni Capano*, intervenuto all'International Horeca Meeting per tracciare una fotografia del mercato in cui si muovono per i loro acquisti i pubblici esercizi. Un tema su cui ha appena scritto un libro: “Trade Marketing e consumi fuori casa”.
Il trade marketing, come si legge nel libro, “è l'insieme delle strategie e delle attività di marketing specifiche attraverso le quali le imprese produttrici tendono a pianificare e gestire i loro rapporti con le imprese distributrici”. In altre parole, come l'industria di cibi e bevande si approccia ai pubblici esercizi e ai loro fornitori.

Le scelte merceologiche
Capano prende in analisi i prodotti maggiormente acquistati dai pubblici esercizi, che vengono suddivisi in quattro gruppi principali: i cosiddetti ingredienti, quasi sempre prodotti unbranded, cioè senza marca (uova, salumi, formaggi, farine, sale, zucchero…); i prodotti chiamati “da impulso”, cioè acquistati dal consumatore finale per la familiarità con la marca e con il package; i prodotti finiti e somministrati come il caso delle bevande; infine i prodotti di autoconsumo, cioè quelli non destinati alla vendita ma comunque utili alla gestione del negozio, come i prodotti di detergenza.
Un ulteriore passo viene fatto per distinguere le categorie merceologiche in base alle scelte dei titolari dei bar.
Praticamente tutti i bar vendono (e di conseguenza acquistano) una serie di bevande come acqua, bibite gassate, analcolici, liquori, birre, vini, spumanti. Non tutti i bar però vendono prodotti da impulso salato come le patatine (56%) o i piatti pronti (solo il 19%).
Le categorie d'acquisto variano in base alla formula del locale: «Un bar diurno - spiega Capano - avrà molti più atti di acquisto nella categoria brioche e bevande calde di un bar serale, che al contrario si distinguerà per avere molto più consumo di aperitivi e bevande alcoliche».
Questa differenza di attitudini d'acquisto si rispecchia anche nel numero di marche acquistate da un bar: in media circa 70 brand, ma il numero è maggiore per i locali serali, causa il maggiore assortimento di bevande alcoliche.

Vince l'ingrosso
Il libro prende in considerazione anche il “dove” e il “perché” degli acquisti da parte dei gestori di bar. La principale fonte di approvvigionamento dei pubblici esercizi è l'ingrosso, che complessivamente raccoglie il 57% degli acquisti, seguito dalle vendite effettuate direttamente dall'industria (18%) e dai cash&carry (16%). Seguono poi i mercati generali e il commercio alimentare al dettaglio, cui ricorrono in prevalenza per l'acquisto di prodotti alimentari freschissimi.
La vera forza dell'ingrosso tradizionale è data dal fatto che offre consegne a domicilio, credito di fornitura (nel 2010 circa 120 giorni in media), lotti di consegna bassissimi, attrezzature concesse in comodato d'uso. Senza contare i rapporti personali che si instaurano fra i titolari dei bar e gli agenti che operano sul territorio. Tuttavia, non manca qualche difetto di questa formula: dalla mancanza di esclusività di rifornimento nella zona di competenza, alla lentezza negli approvvigionamenti e alla scarsa capacità di realizzare iniziative di marketing.
Per quanto riguarda l'industria, bisogna distinguere fra le grandi aziende che puntano al presidio dei punti vendita e le piccole realtà locali che producono caffè, vini o prodotti da forno. In questo caso i difetti sono normalmente individuabili negli elevati lotti minimi di consegna.
Il fenomeno del cash&carry è in costante crescita, ma l'autore mette in guardia i titolari di pubblici esercizi: nonostante questo tipo di rivenditori applichino spesso dei prezzi molto concorrenziali e abbiano il vantaggio di non richiedere un lotto minimo d'acquisto, bisogna mettere in conto anche costi aggiuntivi che normalmente non vengono presi in considerazione, come la benzina per raggiungere il punto vendita e il tempo impiegato per fare la spesa.

Le promozioni in Gdo
Discorso analogo per la Gdo, che viene scelta soprattutto in corrispondenza di promozioni particolarmente vantaggiose. «Dietro i cosiddetti sottocosto - spiega Capano - c'è sempre una spiegazione. In alcuni casi sono specchietti per le allodole, per adescare i clienti e portarli ad acquistare anche prodotti non in offerta, in altri di prodotti fuori stagione, con scadenza breve oppure oggetto di rifacimento del package».
La conclusione di Capano è che non esiste il canale distributivo perfetto, ma bisogna tenere ben presenti i punti di forza e gli svantaggi di ciascuno di essi. E non bisogna mai considerare solo il prezzo del singolo prodotto. Il consiglio di Capano è di tracciare una tabella comparativa, che comprenda anche quelli che a prima vista non sono considerati come costi o risparmi.

* Giovanni Capano, torinese, è un esperto nel campo del trade marketing. Lavora nel canale Horeca dal 1994  e attualmente è amministratore delegato di Aletheia Consulting, società torinese specializzata in consulenze sul trade marketing. Capano è anche docente di diversi master sia post-laurea che per executive.

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