Federico Tomasselli e l’eleganza delle cose semplici

Un ritratto di Federico Tomasselli, finalista italiano alla finale mondiale della Bacardì Legacy a Sydney

"Less is more, enjoy your drink". Sydney, Australia, inizio maggio. Federico Tomasselli, romano, recita davanti alla giuria della Bacardì Legacy Global Cocktail Competition il suo manifesto delle cose essenziali, eleganti perché semplici, senza maschere, pagliacciate, perifrasi inutili e altra roba di poco conto. Fa il suo gioco, come gli altri 34 concorrenti giunti in Australia da Paesi diversi, dalla Siberia all'India, dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda. E non importa se Federico non ha vinto. Quel che conta è che ha mantenuto fede a se stesso, giocandosela con orgoglio fino in fondo. Gli perdono anche di avermi impallato la telecamera con ben due coppette, e dico due, durante le riprese della sua gara: non era lì per fare per il circo (e lo scrivo con tutto il rispetto per l'arte circense), ma per essere quello che è ogni sera dietro al banco del Barnum di Roma, cravatta in più o in meno. Federico è giovane, con una buona esperienza non solo nazionale, ma all'estero. Nel suo libro di debutto, "I cocktail in 4e4'otto" (ed. L'Airone, 127 pag., 7 euro), descrive così la sua esperienza iniziata a Londra tra il 2008 e 2009: «Avevo diciannove anni e lavoravo come barback nel bar più bar che abbia mai visto: il Townhouse Lab di Knightsbridge. È il luogo dove ho lavato centinaia di bicchieri, tagliato chili di frutta, sistemato i carichi, i rifiuti e così via. Sì senza dubbio il posto più produttivo in cui abbia avuto occasione di lavorare. Era il locale ideale per chi, come me, voleva pian piano raggiungere l'obiettivo prefissato. Ho aspettato con pazienza che il superiore mi offrisse il posto da barman e poi ho cominciato a miscelare i primi alcolici». Dopo un paio d'anni a Londra, tra studio, lavoro e relative soddisfazioni professionali è rincasato nella sua Roma. «Londra è una città fantastica, ma alla fine ho deciso di tornare. Perché sono tornato? Per vivere accanto alle grandi passioni della mia vita. Le stesse che ogni giorno costituiscono gli ingredienti dei miei drink. La prima passione è mia madre. La seconda è la mia Vespa. Adoro salire in sella e scoprire giorno per giorno la bellezza della Città Eterna. Sono tornato per stare con la mia ragazza e con i miei amici: la mia squadra del cuore». Roma nel frattempo, intendo dalla sua partenza, ha cambiato faccia. Nella Capitale c'è un'esplosione di nuovi cocktail bar, locali e progetti innovativi legati al bere di qualità e alla riscoperta del gusto per i cocktail classici e per quelli fossili. Tomasselli, dicevamo, lavora al Barnum Café, locale che stupisce cambiando faccia a ogni ora del giorno a due passi da Campo de' Fiori. Per tanto tempo ha lavorato in tandem con Patrick Pistolesi, un professionista con attitudini acrobatiche per il cocktail. Il loro dietro al banco più che uno slalom parallelo era uno slalom gigante. Pistolesi si è occupato della prefazione del suo libro che è fatto per qualunque profano che voglia avvicinarsi al mondo del bere miscelato. È un libro senza troppi fronzoli, con nozioni precise e ben spiegate. Si tratta di pagine che servono a muovere i primi passi nel mondo in Technicolor dei cocktail. Il messaggio è chiaro a partire dall’introduzione: «Si può crescere solo viaggiando e venendo a contatto con altri che, come me, si stanno a dedicando a questo mondo. E in questo io sono solo agli inizi del mio percorso...». Ma torniamo a sopra. Locale chiuso, serranda abbassata, venuti minuti di decompressione dopo una lunga serata. Federico e Patrick che ascoltano, in ordine sparso, "Yes Sir, I can Boogie" delle Baccara o Califano. Si parla, si ride, si scherza molto. È il bar delle cose eleganti perché fatte con naturalezza e senza pretenziosità. «Per quanto mi riguarda - scrive Tommaselli - il concetto di twist on classic è aggiungere estro, creatività, e un pizzico di azzardo a una ricetta tradizionale. La sola aggiunta di un bitter aromatico e due gocce di un liquore possono trasformare il classico in un twist, magari cambiando il bicchiere di servizio. Non sono molto d'accordo quando si smonta un cocktail. Se cambiamo tre ingredienti su quattro non è più rivisitare un classico, ma semplicemente costruire un altro cocktail». Lo stesso Cuban Saint con cui ha partecipato alla finale mondiale del concorso di Bacardì è una pennellata sulla tela del Daiquiri. Un miscelato semplice che, intendiamoci, non vuol dire banale. Tutt'altro. Tradurre argomenti complessi in una lingua accessibile a tutti è il dovere di ogni buon comunicatore e Federico, barba lunga che nasconde solo in parte la genuinità del bravo ragazzo, dietro il banco sa come comunicare. Il suo Daiquiri è bilanciato come un funambolo sulla corda tesa. Un drink né da giorno, né da notte, ma da tutte e due. Un miscelato, da coppetta, eseguito con tecnica shake and strain, con 6 cl di Bacardì Carta Blanca, 2 cl di lime, 5 gocce di assenzio, 2 barspoon di Frangelico, 1,5 cl di zucchero. Il tutto con crusta (o brinatura) di pimento e zucchero. E alla semifinale di Sydney cos'è successo nonostante una presentazione perfetta in ogni dettaglio? L'unica spiegazione che ci siamo dati è che il ventaglio delle ricette presentate era tutto di altissimo livello. Alla fine ha vinto il francese Franck Dedieu del Redwood di Lione, ma non è il successo finale quello che conta. Ciò che importa davvero per un concorrente è l'opportunità di partecipare a un'esperienza internazionale di profilo superiore come la Bacardì Legacy nella quale, la condivisione di contenuti e testimonianze personali e professionali dei 34 concorrenti, valeva più della gara in sè. Ma di questo vi parleremo prossimamente su Bargiornale. «E mo' - come direbbe Federico - annamo a vedè i canguri". Daje!

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