Cocktail aciduli: alla scoperta degli Shrub

Ultimamente il mondo della mixability è invaso da questa nuova parola dal sapore orientale: shrub. Nelle ricette delle competizioni più importanti spesso appare questo termine che desta la curiosità del bartender, alla ricerca di novità e ispirazioni.

Se alcuni sanno già di cosa stiamo parlando, non tutti saranno a conoscenza della storia di questa bevanda dalle radici antichissime, che partono dall’Asia Minore e con le prime navi mercantili arrivano negli Stati Uniti, dove diventano la bevanda preferita della moglie del Presidente. Per percorrere questo affascinante viaggio abbiamo chiesto aiuto a Michael Dietsch, la voce e la penna più esperta sull’argomento.

La storia di questa bevanda è spesso confusa e viene da molto lontano. Ci spieghi come è arrivata fino a noi?

Il significato etimologico, così come la provenienza, deriva della parola araba “sharab”, che significa bevanda. Da questa sono originati altri termini a noi più noti, come sorbetto o sciroppo. L’usanza di allungare aceto, zucchero e spezie in acqua è tipica dei Paesi caldi e arabi, poiché disseta e disinfetta (l’esempio più noto è il Sekanjabin, con aceto, menta e zucchero). Le prime bevande orientali arrivano a Venezia dalla Turchia e dalla Persia e si espandono in tutto il vecchio continente. Sono sorbetti composti da zucchero mescolato con succhi ed erbe, fiori o nocciole. In Europa il termine sharab è presto storpiato in “shrub”, e la bevanda analcolica è tramutata in un composto di succo di agrumi, zucchero e un distillato (generalmente cognac o rum). Siamo nel XIX secolo quando l’usanza arriva dall’altra parte dell’Oceano e la bevanda diviene famosa all’interno delle famiglie borghesi nelle colonie americane. Gli stessi Washington e Jeffersons, futuri presidenti Usa, hanno la propria ricetta da proporre ai ricevimenti. Con la fine della guerra d’Indipendenza e l’unione degli Stati Uniti, il destino degli shrub si incrocia con l’usanza negli Stati del Sud di bere composti a base di aceto, frutti rossi e zucchero. Da questo momento il termine e la composizione acquista l’accezione che le diamo noi oggi, e si lega indissolubilmente alla tradizione gastronomica americana.

Parlaci ora del tuo “primo amore”, dove l’hai conosciuto?

Ero al festival “Tales of the Cocktial”, nel 2008. In una calda giornata estiva a New Orleans mi avvicinai al banco di Bridget Albert, barlady di Chicago, che mi propose un suo drink con cachaça, shrub al lampone, succo di lime e ginger ale. Era perfettamente bilanciato, si poteva percepire ogni singolo ingrediente e soprattutto era molto rinfrescante, una dote fondamentale in una giornata come quella. Tornai da Bridget molte volte quel giorno, quello era senza dubbio il drink che più mi aveva colpito. Una volta a casa cercai di riprodurlo per mia moglie, sicuro che l’avrebbe apprezzato. Purtroppo i lamponi erano fuori stagione, quindi creai una mia versione con mirtilli e uva spina. Da quel momento il mio frigorifero è costantemente invaso da shrubs di ogni tipo. Ho cominciato a documentarmi, e la storia mi ha così affascinato che sono arrivato a scriverne un libro. Persino nel mio quartiere, Brooklyn, esiste la leggenda di uno shrub al sedano che la comunità ebraica aggiungeva al vino frizzante per conferire una nota acidula e un colore giallo paglierino, con il proposito di farlo assomigliare a uno Champagne.

Uno sciroppo di frutta o verdura mescolato con aceto. Come prima impressione non sembra la bevanda dei sogni. Cosa ha di speciale per te uno shrub?

Come prima cosa, la qualità rinfrescante. I sapori sour, come quelli acidi derivanti dall’aceto, stimolano la produzione di saliva, che dà al palato la freschezza tipica di quando si è dissetati. Quest’ultima poi, favorisce l’appetito, il che fa degli shrub anche ottimi drink per un aperitivo. Uno shrub allungato con soda o seltz può essere la ricetta di un drink analcolico semplice ma molto originale. Avendo una base di sciroppo, eseguibile con qualsiasi ingrediente, lo shrub ha solo il limite della fantasia dell’esecutore, dote di cui i barman di oggi sono certamente ben forniti.

2 Commenti

    • Buongiorno Daniele, l’autorità in materia è Michael Dietsch. Il suo libro (in inglese, non esiste un’edizione italiana) si intitola “Shrubs. An old fashioned drink for modern times”

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