I cocktail più venduti al bar alla tappa di Roma di Baritalia

Quest’anno abbiamo fatto le cose in grande: non solo la prima tappa di Baritalia, il nostro laboratorio itinerante sulla miscelazione, si terrà in uno dei locali più “in” della Capitale, il Tyler a Ponte Milvio (27 maggio 2019, dalle 12.00 alle 20), ma, come tradizione, ad accogliere i professionisti provenienti da tutta la Penisola ci sarà un qualificato gruppo di colleghi in veste di relatori di inedite masterclass sulle tecniche di miscelazione più diverse e di tendenza. Un vero e proprio bootcamp, organizzato in collaborazione con 11 aziende leader del fuori casa: Baladin SpiritsCampari AcademyCoca-Cola HBC ItaliaCompagnia dei CaraibiFabbri 1905, KimboMartiniMolinariGruppo MontenegroNonino, Red Bull. Il Baritalia Bootcamp sarà aperto a tutti i bartender registrati all’evento (quindi non perdere l’occasione, se non sei registrato ancora fallo subito!).

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    Il Baritalia Bootcamp vedrà alla ribalta in qualità di relatori personaggi molto noti agli addetti ai lavori del mondo della mixability tricolore, da Dennis Zoppi a Joy Napolitano, da Ilaria Bello a Walter Gosso o da Lucia Montanelli e Luca Moroni (in alto tutti i nomi dei relatori con i temi degli interventi e gli orari delle masterclass). 
    È previsto, alle 17.30, anche l’intervento di una superstar della miscelazione internazionale: si tratta di Guillaume Leblanc, famoso e giovanissimo bartender del Dirty Dick di Parigi, conosciuto tra gli opinionisti del “bere bene”, come “lo sciamano del tiki in Francia”. In parallelo alle masterclass, come di consueto, si terrà Baritalia Lab con il confronto tra i bartender su tre cocktail super classici (i più venduti al bar): Negroni, Daiquiri e Gin Tonic. Al termine dei laboratori e delle masterclass, previsto intorno alle 20, è previsto un vero e proprio “terzo tempo” con Baritalia Party Time: una grande festa finale, aperta anche al pubblico. Vi aspettiamo numerosi! C.B.

Spritz, facciamo chiarezza

Da anni, a cadenza regolare, come un disco rotto, c’è qualcuno che si scaglia sul più popolare aperitivo italiano: lo Spritz. Questa volta la notizia fa ancora più rumore perché l’attacco proviene dalle pagine del New York Times. Il titolo del pezzo, firmato da Rebekah Peppler, dice “L’Aperol Spritz non è un buon drink”. Il sommario è altrettanto lapidario. “Il popolare aperitivo Instagram-friendly si beve come un Capri Sun (un succo di frutta) dopo una partita di calcio in una giornata calda”. Ma se leggiamo qualche riga più sotto il messaggio è più chiaro. Non è il drink in sé ad essere attaccato, ma la sua modalità di realizzazione. Riporto testuale: “Servito in bicchieroni da vino marchiati, l’aperitivo zuccherino è accompagnato da prosecco di scarsa qualità, acqua di soda e una fetta d’arancia fuori misura”. Nel pezzo l’autore interpella Katie Parla, scrittrice americana, ma residente a Roma che prima sottolinea di preferire prodotti più bitter e poi rimarca che spesso il drink viene realizzato con vini di scarsa qualità.
Al di là dei gusti personali il problema vero è quanti bar utilizzano prodotti di qualità?

Tre opinioni che contano

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Giorgio Fadda

Giorgio Fadda

«Il vero guaio in Italia è che molti non si accontentano dell’ottimo margine che offre lo Spritz e usano prodotti di scarsa qualità per combattere la concorrenza. Non capisco certo snobismo. Lo Spritz ha tutte le caratteristiche di un buon aperitivo: l’effervescenza, la parte amaricante e in più è a bassa gradazione alcolica in linea con le nuove tendenze del low alcohol»

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Roberto Pellegrini

Roberto Pellegrini

«Lo Spritz incarna l’idea di convivio. Il suo successo in America è stato alimentato, prima di tutto, da un passaparola partito dai tanti turisti americani che frequentano Venezia. Ed è così che da semplice bevanda è diventato un drink “cool”. Questo ha alimentato il fronte sia degli estimatori sia dei detrattori. Succede sempre quando qualcuno o qualcosa ha successo»

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Massimo Stronati

Massimo Stronati

Quando scrissi “Ogni volta che chiedi un Aperol Spritz un barista muore” è iniziato il gioco sui social media e coi colleghi. Io preferisco altri liquori Cynar, Select, Campari, ma in America Aperol Spritz è il più popolare. Oggi quando faccio lezioni di cocktail le signore californiane vogliono imparare a farlo e mi chiedono di insegnare loro il giusto metodo…Sarà il karma»

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    Quanti, piuttosto di risparmiare qualche spicciolo in più, ricorrono a vini e bitter da due soldi? Ma ci sono altri due passaggi nell’articolo del quotidiano newyorchese che creano una doppia confusione: storica e semantica. Peppler scrive: “Per il nome di questa bevanda dobbiamo ringraziare i soldati austriaci. Nel 19° secolo gli uomini di stanza nel nord Italia e non abituati allo stile di vino locale iniziarono a diluire i bicchieri con uno spritz – la parola tedesca per “spruzzare” – di acqua naturale. Verso la fine degli anni ’10, l’acqua gassata sostituì l’acqua naturale, negli anni ’20 e nei primi anni ’30 gli aperitivi amari a base di vino o di altri spiriti presero il posto del vino e il prosecco entrò in scena negli anni ’90”. I fatti in realtà andarono diversamente. Intanto partiamo dalla differenza tra lo Spritz di origine mitteleuropea e l’altro Spritz, più giovane e nato nel triangolo Venezia, Padova, Treviso. Consultando archivi ed esperti non c’è un solo documento ufficiale dove si dica chiaramente che termine spritz deriverebbe dal tedesco spritzen, spruzzare, introdotto dai soldati dell’esercito austroungarico durante il periodo di dominazione del Veneto (1797-1866). Ed un altro mito è il fatto che i soldati “nordici” non fossero in grado di digerire le alte gradazioni dei vini italiani e preferivano, quindi, allungarli con acqua. Semmai furono loro, i soldati, a diffondere a Venezia le abitudini che erano già note in altre regioni vinicole dell’Impero. Sia nei Paesi di lingua tedesca che nei Balcani erano in uso innumerevoli varietà di vini “spruzzati”: Gespritzt in Assia, Spriţ de vară in Romania, Spritzer in Slovenia, Gemišt in Croazia, Froccs in Ungheria. E fino agli anni Settanta del Novecento lo Spritz sarà ancora quello tedesco che Elio Zorzi descrive nella sua guida alle Osterie Veneziane (1928): “Mezza ombra di vin bianco al seltz con una fettina di buccia al limone”. Lo chiamava Spritz o Bismarck, il che è tutto dire. Per arrivare alla prima menzione nota di uno Spritz italiano (o meglio veneto) bisogna attendere il 1979. Aperitivo “Spritz” (Casa Zanotto, usanza padovana): “Stoquì el saria l’aperitivo tradizional de la zente veneta, tanto in uso ne i bar e ne le case de campagna: 1 goto de vin bianco; 1 de bicer de un amaro qualsiasi e scorzeta de limon…” Il termine amaro, o bitter, entra così per la prima volta sulla ribalta.

    Da bevanda popolare a drink

    Tra gli anni Settanta e Ottanta si assiste a un boom industriale ed economico nel Veneto che diventa una delle regioni più ricche d’Italia e lo Spritz da bevanda popolare si trasforma in un drink. Lo Spritz diviene un aperitivo molto popolare a Venezia (terra del Select), a Padova (patria di Aperol) e nel resto del nord est. Lo si beve soprattutto con Campari, con Select, con l’Aperol e, in misura molto minore, col Cynar. L’investitura dello Spritz come aperitivo di moda e l’accoppiata di successo tra prosecco e Aperol è un evento recentissimo. Il detonatore sarà l’acquisizione nel 2003 dell’aperitivo-liquore della Barbieri, nato a Padova nel 1919, da parte del Gruppo Campari. Oggi, dati alla mano, gli indicatori ci dicono che lo Spritz è il campione assoluto di incassi. Una ricerca che Bargiornale ha commissionato al Centro Marketing del Gruppo Tecniche Nuove per fotografare i best seller dei bar italiani (3.000 gestori coinvolti, ottobre 2018) rivela che lo Spritz è al primo posto con il 63,8%, seguito a lunghissima distanza da Mojito (20,3%), Negroni (15,9%), Americano (9,5%), Moscow Mule (7,7%), proseguendo con Gin Fizz, Gin Tonic, Bellini, Margarita e Gin Lemon.

    Senza lo Spritz non sarei riuscito a…

    Per tanti, tantissimi, lo Spritz è stata ed è una fonte inesauribile per fare cassetto. Volete sapere quante volte abbiamo sentito “Senza lo Spritz non sarei riuscito a comprarmi il locale”? Tanti grandi barman storcono comunque il naso. C’è chi, pur ritenendolo un drink da poco, lo inserisce in carta a beneficio degli ospiti; chi lo ha bandito e infine chi propone, nella sua drink list, un’alternativa al classico Spritz. Noi di Bargiornale abbiamo scelto di dedicargli un omaggio nella prossima tappa di Baritalia Hub (Bari, 23 settembre), invitando i bartender a rileggere lo Spritz in una veste magari nuova, ma sempre attenta alla qualità della materia prima: spirits, vini, garnish e ghiaccio inclusi. Un modo, come un altro, per rispondere a chi tratta coi piedi il nostro aperitivo italiano. S.N.

     

     

Trifanovs in trionfo alla Flairsupply International Flair Competition

Deniss Trifanovs in trionfo alla Flairsupply International Flair Competition, manifestazione che lo scorso 11 aprile ha coinvolto a Roma 60 concorrenti da 16 Paesi in tutto il mondo, con 18.000 euro di montepremi, cinque giudici, due sessioni di gara: qualificazioni e finali. Si è trattato della terza edizione della gara di bartending acrobatico organizzata dalla Flairventure, una delle grandi realtà internazionali del settore.

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    La cornice è stata quella del Vinile, famoso locale del quartiere Ostiense a Roma. Un contest all’insegna della fusione tra mixology e flair, due mondi sempre più vicini, un mix garantito dalla giuria di degustazione formata da Adriano Costigliola, bartender e socio di Iovem, Valeria Bassetti, bar manager dell’Acquaroof di Terrazza Molinari e Giovanni Continanza per Bargionale. Come giudici tecnici, due leggende del flair mondiale: Nicolas Saint-Jean e Christian Delpech. A spuntarla, è stato il lettone Deniss Trifanovs della scuola Flair School di Roma. Un successo arrivato grazie alle note cremose del suo Coquito: 40 ml rum, 15 ml Frangelico, 15 ml purea di cocco, 40 ml latte di soia, 10 ml acquafaba. Una struttura rafforzata da un top di bitters Amargo Chuncho e una spolverata di noce moscata. Secondo posto per le venature dolci del Purple Dream di Alexander Shtifanov, uno dei grandissimi del bartending acrobatico: rum chiaro, sciroppo di more, more fresche e crema di latte, servito in una coppa martini. Un terzo posto d’oro per Marek Posluszny e il suo geniale Night Out. Un drink notevole sia nella composizione, sia nel servizio: vermouth rosso, liquore al caffè, scotch whisky torbato, sciroppo di more e zest di pompelmo, serviti in un highball e raffreddati con ghiaccio secco mediante un ingegnoso mini alambicco a lato. Una soluzione geniale, funzionale ad esaltare le note dolci ed aromatiche degli ingredienti. Non a caso, la ricetta di Posluszny è risultata la vincitrice del premio Iovem (nuovo nettare alcolico dal caratteristico colore viola, ndr) al miglior cocktail della rassegna, premio patrocinato da Bruno Vanzan, inventore di Iovem. Menzioni speciali per Roberta Giuliano e Giorgio Chiariello, rispettivamente vincitori del premio “best female” della rassegna e del miglior concorrente italiano. G.C.

Cocktail Mixologist Competition debutta allo Yacht Club de Monaco

Una splendida giornata di sole ha accolto nella moderna sede disegnata da Norman Foster per il prestigioso ed esclusivo Yacht Club de Monaco (1888) i partecipanti alla prima edizione di Cocktail Mixologist Competition. Organizzata dal capobarman dello Yacht Club de Monaco, Rocchino Giorgio e dall’agenzia Bluewater, riservata ai giovani bartender, la gara è stata tenuta in contemporanea con la “rodata” Superyacht Chef Competition, riservata agli chef di bordo delle grandi barche che attraccano nel porto di Monaco.
Con il nome Destinazione Barman, l’iniziativa intende promuovere la figura e il ruolo del barman di bordo, accanto a quella “storica” degli chef di bordo, organizzando specifici corsi di formazione professionale, un progetto che è entrato nei programmi di La Belle Classe Academy by Bluewater dello Yacht Club de Monaco, grazie alla collaborazione della direttrice Lynda Musignani.

Le 3 ricette vincitrici

  • Le Prince d’Azur

    di Martin Stefas Balas – Ippsar
    Pellegrino Artusi di Riolo Terme (Ravenna)

    Ingredienti

    1,5 cl Blue Curaçao
    3 cl succo lime
    1,5 Grappa Moscato Nonino
    1 cl sciroppo zucchero

    Preparazione
    Shaker con ghiaccio,
    versare in doppia coppa cocktail,
    top di velluto salato,
    decorare con scorza di melone giallo
    tagliato a forma di gabbiano

  • La Libertad

    di Shirley Mortier
    Yacht Club de Monaco

    Ingredienti

    3 cl succo fresco kiwi
    3 cl Nonino Ginger Spirit
    2,5 cl Malibu Rhum Coco
    0,5 cl succo fresco lime

    Preparazione
    Shaker,
    versare in coppa martini,
    decorare con una scorza di melone
    tagliata a forma di uccellino

  • Frankie goes to Hollywood

    di Alessia Mirabelli – Ipssar
    Nino Bergese di Genova

    Ingredienti
    4 cl Grappa Nonino Picolit
    1,5 cl Noilly Prat Vermouth
    1 cl Sherry Tio Pepe
    2,5 cl sciroppo al basilico e rosmarino
    2 bar spoon Saint Germain liquore al sambuco

    Preparazione
    Shaker,
    versare in bicchiere da cocktail,
    decorare con scorza di limone,
    foglie di basilico e rosmarino

  • “Altro…”

    A contribuire alla ottima riuscita della gara hanno provveduto sponsor come Nonino Distillatori di Percoto (Udine), Giovanni Raspini Argentiere di Arezzo/Monte Carlo. La giuria era composta da Cristina Nonino e da Ettore Diana, bartender campione del mondo 2012, primatista del cocktail più grande del mondo e mixology ambassador General Fruit, nonché autore di molteplici libri in tema  miscelazione e decorazione.

    Una gara avvincente

    La gara è stata animata dal brillante giornalista gastronomo, attore e presentatore tv francese Vincent Ferniot. A prevalere è stato il cocktail del giovane studente romagnolo Martin Stefas Balas (Ipssar Pellegrino Artusi di Riolo Terme-Ra) dedicato al mondo del mare, seguito da quello della giovane barmaid “residente” Shirley Mortier, ispirato alla libertà senza pari del volo degli uccelli e a quello della giovane studentessa ligure Alessia Mirabelli (Ipssar Nino Bergese di Genova), caratterizzato dall’impiego degli aromi della macchia mediterranea, che ricevuto anche il Premio Tecnica. A Luca Perugini (Ipssar Pellegrino Artusi di Riolo Terme-Ra) è andato invece il Premio Decorazione. Rivestiti con grembiuli personalizzati Tefilex- St. Honoré, ai vincitori il direttore dello Yacht Club de Monaco, Bernard D’Alessandri, ha consegnato le medaglie del concorso. Ekaterina Giorgio (gestore del negozio Giovanni Raspini di Montecarlo) ha conferito i pregevoli secchielli in argento Giovanni Raspini, decorati con teste di leone o di cavallo oppure con rami di corallo. Infine, Cristina Nonino ha omaggiato i vincitori con le prestigiose bottiglie Imperial (6 litri) di Grappa e Amaro Nonino. R.G.

A Genova il cold brew viaggia su due ruote. E i bartender ringraziano

A Genova il cold brew arriva su pedale e in vetro con vuoto a rendere, come il latte di una volta. È il servizio innovativo ideato da Tazze Pazze, caffetteria gourmet entrata nella top ten dei Barawards nel 2018, che da questo mese fornisce – in collaborazione con i biker di Eco Bike Courier – le bottiglie del loro speciale cold brew a una rete di locali genovesi (bar, cocktail bar, ristoranti) che ne prenotano il delivery.

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13
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Il prezzo di 1 litro di cold brew (consegna inclusa)

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La capacità del contenitore in vetro del cold brew

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I bartender genovesi che hanno elaborato una ricetta a base cold brew

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    «Per consegnare un prodotto tale e quale a quello consumato nel nostro bar, senza alcun conservante, abbiamo ideato un servizio settimanale – racconta Matteo Caruso, anima di Tazze Pazze assieme ad Andrea Cremone -. Prima però abbiamo coinvolto i principali cocktail bar genovesi chiedendo loro alcune ricette di cocktail a base di cold brew. E ora partiamo con le consegne: il lunedì riceviamo gli ordini via sms, nella notte prepariamo il cold brew, il giorno dopo consegniamo con i corrieri di Eco Bike Courier, che ci garantiscono la catena del freddo e la sostenibilità del progetto». Il claim per il servizio è “Fresco, Eco, Fico”. Fresco, perché preparato a freddo e servito a freddo. Eco, perché parte da una materia prima sostenibile. Non solo. La consegna viene fatta su pedale e, quindi, senza inquinare l’ambiente, e il contenitore scelto è il vetro (bottiglia da 1 litro). Fico, perché pensato per essere proposto ad barista che gli dia il giusto vestito e valore. Il servizio sarà stagionale, attivo fino ad ottobre. Il cold brew può essere consumato in purezza, freddo e servito con un cubetto di ghiaccio, oppure aromatizzato. Ma può diventare anche ingrediente o base per la miscelazione, come dimostrano le ricette elaborate in esclusiva per questo progetto da 10 bartender genovesi, tra i quali figurano nomi molto noti agli addetti ai lavori come Jonatan Abarbanel (Les Rouges), Pierpaolo Cozzolino (Kowalski), Giulio Tabaletti (Gradisca) e Davide Volterra (Negroneria e Locksmith). A.R.

Dal piatto al cocktail il passo è breve. Parola di Apelle

Cocktail e cucina, mai stati così vicini. È successo e succede da Apelle a Ferrara, cocktail bar e ristorante gourmet aperto nel 2015 nella centralissima Carlo Mayr, che è riuscito nella missione quasi impossibile di mutare le consolidate abitudini locali della città emiliana con un menu che va oltre lo schema fisso cappellacci e salama da sugo. Non solo. La premiata ditta Matteo Musacci e Claudio Bellinello, i due patron del locale, hanno osato anche nella proposta bar, puntando tutto su una coraggiosa miscelazione d’autore, quasi sconosciuta a Ferrara, con l’utilizzo massiccio di ingredienti home made.

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    Oggi, a quattro anni dall’inaugurazione, si può dire che la piccola rivoluzione innescata dal locale di Carlo Mayr sia riuscita, anche perché, nel frattempo in città, sono nati altri locali che, come Apelle, hanno fatto scelte di campo controcorrente o alternative. Lo dimostra anche l’ultima idea della coppia Musacci – Bellinello, una nuova drink list con 10 cocktail ispirati ai piatti di 10 chef famosi: Massimiliano Alajmo, Massimo Bottura, Francesco Brutto, Enrico Crippa, Mauro Uliassi, Gianluca Gorini, Lionello Cera, Riccardo Camanini, Davide Caranchini, Alessandra Del Favero con Oliver Piras. «Un progetto frutto di un grosso lavoro di squadra – spiega Musacci – che, ovviamente, ha coinvolto, oltre  alla cucina, il nostro bar team capitanato dall’head bartender Robert Paul Farcas con Jacopo Zilli. Abbiamo scelto chef che già conoscevamo e che apprezzavamo, selezionando alcuni dei loro piatti iconici. Unica eccezione per Mauro Uliassi, un cuoco che amiamo moltissimo, per il quale è stato impossibile scegliere un singolo piatto. Tuttavia nel cocktail che gli abbiamo dedicato ci sono diversi ingredienti che  ricordano la sua cucina: il nero di seppia, l’acqua di mare e la vodka Snow Crab».

    Un processo creativo libero

    Tutti gli chef, come si legge nella prefazione del menu intitolato The Drinking Chef, hanno dato il loro consenso ad essere citati nella drink list e alcuni di loro hanno anche amichevolmente partecipato ai video promozionali pubblicati sulle pagine social del locale. «Attenzione – avverte Musacci – non si tratta però di “prove” di cucina liquida: il cocktail non è la riproposizione del piatto in forma di bevanda ma è la base di partenza di un processo creativo assolutamente libero».

    La narrazione dei cocktail

    La drink list sta avendo successo anche perché è frutto di un efficace lavoro di comunicazione a livello di contenuti e grafica (molto bella l’illustrazione di copertina firmata da Gilda Cesari): la genesi di ogni cocktail è “raccontata” con la descrizione del piatto ispiratore, l’identikit dello chef con cenni al suo stile di cucina, l’elenco degli ingredienti, il grado alcolico e il prezzo. «Attualmente i cocktail più gettonati della lista – conclude Musacci – sono quelli ispirati ai piatti di Gianluca Gorini, un pre dinner a base di vermouth ai lamponi home made, gin infuso alle mandorle tostate, soda al rabarbaro e bitter ai lamponi e arancia, e di Riccardo Camanini, un mix a base di sake, aceto di lamponi, sciroppo all’aglio nero e carbone vegetale. Con questa nuova proposta abbiamo ulteriormente alzato l’asticella della qualità in città: non è un caso che Apelle sia diventato un meeting point di buongustai, frequentato non solo da ferraresi, ma anche da clienti provenienti da tutta l’Emilia e il Veneto». L’offerta cocktail di Apelle è completata da altri 10 signature drink che rappresentano i “best seller” del locale. Altrettanto “ispirata” è la cucina metropolitana della casa, in regia c’è la chef Martina Mosco, con piccoli piatti (da abbinare, volendo, ai cocktail) e piatti di portata che fanno riferimento a più culture gastronomiche. C.B.

La cucina di Celestina tra piatti della memoria e pizze

Loro sono quelli di Porto Fluviale, di Stazione Mole, di Ercoli, della Pariolina e così via. Già sette i locali all’attivo, per Gino Cuminale e Dany Di Giuseppe a cui si aggiunge Celestina alla Camilluccia, un locale polifunzionale per famiglie da 120 coperti, in un quartiere residenziale, zona Trionfale, poco battuto dalla movida capitolina. Celestina è un’antica leggenda della ristorazione dei Parioli, che racconta di epoche in cui qui c’era una campagna in via di trasformazione. “Era il 1926 e questa cuoca della piccola osteria che portava il suo nome, assicurava appetitosi piatti romani a prezzi popolari”. Celestina è quindi l’ispirazione, per il nome e per la proposta, che rimane popolare: pizza, cucina orientata al comfort food, italianità anche nella proposta beverage, con Birra del Borgo in esclusiva e una selezione di poche etichette, ma di qualità, nel menu vino.

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    Il pranzo della domenica

    A curare il progetto architettonico, lo studio Doppio Tratto di Roma, che ha fatto un restyling del ristorante che precedeva Celestina negli stessi spazi, salvandone alcuni elementi come il pavimento in marmo lapislazzulo. Grande attenzione al giardino esterno immerso in una macchia mediterranea, con un bow window da terra che regala agli ospiti la sensazione di attraversare una serra per entrare nel locale. Protagonista il grande Forno Scugnizzo napoletano con cupola in rame: elettrico di ultima generazione, con una struttura a bocca aperta, camera di cottura in mattoni refrattari e suolo in Biscotto di Sorrento. È sul forno, infatti, che si punta molto, sia per la pizza, realizzata in tre diversi impasti (napoletano, romano e pizza pane), sia per proposte che sono a metà strada fra pizzeria e cucina, ovvero focacce, panuozzi e fruste alla Sorrentina. Senza contare le cosiddette Pizze Popolari, ovvero tonde che fanno da base a condimenti presi dalla tradizione come la Vaccinara o la Norma. Dalla cucina, i classici della nonna, come polpette, cotolette e la Parmigiane, che nel fine settimana si arricchiscono di una proposta ancor più da pranzo della domenica. A.T.

Uno strabiliante “falso polinesiano” sul Naviglio

Rita’s Tiki Room, avamposto esotico e “falso polinesiano” del Rita di Milano, ha appena aperto i suoi battenti di bambù e rattan. È il primo baluardo sul Naviglio Grande dello stile tiki ispirato dai bar-ristoranti creati da Don The Beachcomber e Trader Vic nella California degli anni ‘30 e ’40. Luoghi spensierati e di evasione per chi sognava i Mari del Sud e le Hawaii. Se per Edoardo Nono, titolare Rita’s Tiki Room è semplicemente “il secondo locale Tiki di Milano”, per noi è il primo della zona a rispettare in modo minuzioso e filologico l’opera dei padri fondatori del genere.

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    A cominciare dalla materia prima. In linea la cura maniacale degli ingredienti esercitata al Rita dal premiato duo – Edoardo Nono e Gianluca Chiaruttini – qui si fa sul serio. Pimento, orzata, granatina, Zombie fire mix e il gustoso Ginger Falernum della casa prodotto e messo in bottiglia. Ogni cosa è preparata in casa. Lo spazio interno è di circa 70 metri quadrati con sculture tiki realizzate dall’artigiano neo-tiki vicentino Paul Campese e gli interni studiata dal guru Matteo Orioli, scenografo delle cerimonie delle Olimpiadi di Torino e di programmi televisivi di successo come X-Factor e Amici. Il bottigliere, davanti al quale troviamo gli esperti bartender Nicolò Caramiello e Andrea Arcaini, ha circa 110 referenze, principalmente rum di tutte le razze, ma anche Tequila, mezcal, cachaça. Dei costumi di scena se ne è occupata Elisa Barozzi, studente di fashion design e mattatrice della sala. A dirigere le manovre con piglio da ammiraglio e modi gentili è la restaurant manager Chiara Buzzi. La drink list si divide tra vecchie glorie firmate dai pionieri Donn Beach, Pat O’Brien, Victor Bergeron, Joe Scialom (Zombie, Suffering Bastard, Pearl Diver, Mai Tai ecc.) e specialità del Rita. Perché il Rita era già Tiki prima di sapere di essere Tiki. Parliamo di Why Mango? (2009), Jungle Fever (2005), Principe Ferrari (2010) e altre misture con rum ad alto grado. La cucina? Altro fiore all’occhiello del locale. In collaborazione con Eugenio Roncoroni (chef-patron di Al Mercato) è stata studiata una cucina che fonde il tradizionale crossover dei piatti tiki (cantonesi e polinesiani) con piatti dal gusto più moderno. Il tutto seguendo il motto del locale: “Siamo Tiki non antichi”. S.N.

Zucca, c’è anche la versione Gran Riserva

Grandi novità in casa Zucca. La prima è che il famoso rabarbaro di Illva Saronno si ripresenta alla ribalta del mondo beverage con una nuova veste che evoca le sue origini storiche. La nuova etichetta ricorda, infatti, in ogni particolare, quella della nascita del prodotto, alla fine dell’Ottocento. È infatti il 1845 quando Ettore Zucca, scopre il gusto e la piacevolezza del famoso rabarbaro, grazie a un preparato, sempre a base di rabarbaro, che la moglie Tilde Beduschi era solita degustare. Ettore Zucca intuisce immediatamente le straordinarie possibilità della bevanda e comincia così la produzione artigianale di uno dei prodotti destinati a diventare un simbolo della Milano raffinata, della Torino bene e di altre famose città europee quali Parigi e Londra. Apprezzato da re Vittorio Emanuele II,  Zucca diviene ben presto fornitore ufficiale della famiglia reale italiana. L’effige di Emanuele Vittorio III, la Gran Croce d’Onore e il brevetto della Casa Reale impreziosiscono l’etichetta insieme alle tre medaglie vinte dal liquore in occasione delle seguenti Esposizioni Universali: 1906 Milano, 1911 Torino, 1935 Bruxelles. Non manca, ovviamente, la firma del fondatore Ettore Zucca.

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1845

Ettore Zucca inventa la ricetta del rabarbaro Zucca

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La gradazione dello Zucca versione classica

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La gradazione dello Zucca, versione Gran Riserva

  • “Altro…”

    Un classico del bere italiano

    Realizzato con i rizomi del rabarbaro posti in infusione insieme a rare erbe aromatiche naturali, Zucca è da sempre un grande classico dello stile italiano nel bere: uno stile oggi, visto il ritorno sulla scena di altre icone della bar industry tricolore, sempre più attuale. Il tutto in soli 16° alc. La seconda importante novità è che a accanto alla versione classica, l’azienda lombarda ha lanciato anche una versione a 30° denominata Zucca Gran Riserva con l’etichetta storica “virata” al nero. Anche in questo caso si tratta di una ricetta esclusiva con speciali ingredienti che Ettore Zucca preparava e consumava segretamente con i suoi amici milanesi durante le loro serate, giocando a biliardo. Un prodotto eclettico da proporre in purezza o come ingrediente per la miscelazione. C.B.

AeroPress, la finale italiana il prossimo 28 giugno

È per il prossimo 28 giugno a Milano l’appuntamento con la sesta edizione del Campionato Italiano di AeroPress, tappa nazionale del World AeroPress Championship (Wac). Si tratta di una sfida organizzata da La Marzocco, tra i principali produttori mondiali di macchine da caffè professionali, in collaborazione con il Wca e con il coinvolgimento di Modbar, brand partner che realizza soluzioni modulari per l’erogazione di caffè, acqua e vapore, insieme a E&B e a EdoBarista.

Quanto manca?

  • “Altro…”

    Si tratta di una competizione che invita i baristi italiani specialisti di questa tecnica alternativa di estrazione a sfidarsi davanti a una qualificata giuria e ambire così al titolo di campione italiano di aeropress. Per partecipare occorre iscriversi entro il 12 giugno sulla pagina Facebook de La Marzocco oppure direttamente via Eventbrite. Palcoscenico della gara, che ha Bargiornale come media partner, sarà lo showroom milanese di La Marzocco (in via Mario Idiomi 3/12 ad Assago). La formula della competizione è a eliminazione multi-round: ogni batteria sarà composta da 3 sfidanti e per ognuna verrà decretato il vincitore che passa alla fase successiva, procedendo in questo modo fino alla proclamazione del campione. In ogni sfida i concorrenti avranno 8 minuti di tempo per preparare, estrarre e presentare il loro caffè, utilizzando lo specialty coffee fornito dalla torrefazione artigianale Lot Zero, in una tazza identica per tutti che sarà valutata “alla cieca” da una giuria. I giudici della competizione saranno Michael Gardenia di Fusillo Lab, Enrico Wurm, product improvement manager de La Marzocco, Chiara Bergonzi di Lot Zero, Nadia Rossi di Bargiornale, Maurizio Valli del Bugan Coffee Lab e un guest judge, il cui nome non è stato ancora rivelato.

    Viaggio a Londra per la finalissima

    Il vincitore, insieme al titolo nazionale, si aggiudicherà un viaggio a Londra per prendere parte il prossimo novembre alla fase finale del World AeroPress Championship dove rappresenterà i colori italiani. Ma quella del 28 giugno, sarà una giornata ricca di eventi: oltre alla sfida è prevista la proiezione del film-documentario AeroPress Movie realizzato da European Coffee Trip e l’aperitivo finale per celebrare il nuovo campione tricolore. G.S.

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