Il grande ritorno del Vermouth Bianco di Prato

Vermouth Bianco di Prato

Per secoli le massaie lo hanno preparato utilizzando uva bianca non ancora matura ed erbe raccolte nei campi, servendolo come aperitivo o digestivo durante le festività natalizie. Poi, dal secondo dopoguerra, come per tante eccellenze legate alla tradizione contadina, è praticamente scomparso. Parliamo del Vermouth Bianco di Prato, che Opificio Nunquam, un piccolo laboratorio artigianale fondato nel 1999 da Fabio Goti e Cristina Pagliai aa Tavole, una frazione di Prato, ha riportato in vita da qualche anno.

Una specialità ancora poco nota nel nostro paese, e addirittura a lungo ignorata anche degli stessi abitanti della città toscana, ma che già campeggia nelle bottigliere di rinomati locali londinesi. Eppure, il prodotto non ha origini meno antiche del ben più noto vermouth piemontese. Basti pensare che i documenti storici ne segnano la nascita nella prima metà del Settecento.

Al 1750 risale infatti la ricetta codificata di questo vermouth, fedelmente rispettata, anche per quanto riguarda tutto il processo di lavorazione effettuato artiginalmente e a mano, da Opificio Nunquam per realizzare il suo prodotto.

Ricetta che prevede l’utilizzo di erbe aromatiche, officinali spontanee e varie spezie: enula campana, genziana, galanga, cannella, calamo aromatico, chiodi di garofano, centaurea, assenzio pontico e romano, coriandolo, noce moscata, bucce di cedro e di arancia dolce e amara. Queste, dopo essere pestate a mano, vengono messe a macerare in vino toscano, trebbiano, in prevalenza, e chardonnay, con l’aggiunta di un po’ di zucchero e di alcol. Il composto si lascia maturare per qualche giorno, in modo che le erbe rilascino le loro essenze, per essere infine filtrato e imbottigliato in fiaschi o in bottiglia (entrambi disponibili in formato da 500 ml).

Risultato di questo processo è un vermouth (alc 15% in vol) dal colore giallo carico, leggermente ambrato, dal profumo intenso, speziato e fruttato, e caratterizzato da un sapore dolciastro con una nota di acidulo e un retrogusto piacevolmente amarognolo. Proprietà che lo rendono un ottimo aperitivo, da servire fresco, a una temperatura consigliata di 16-20 °C, in ampi calici a tulipano, ma buono anche a temperatura ambiente come digestivo. Nel primo caso, guarnito con una scorza di agrume, si accompagna perfettamente con formaggi erborinati non troppo sapidi, nel secondo con la biscotteria, in particolare con specialità che hanno la stessa origine geografica, come i biscotti di Prato o gli amaretti di Carmignano, nei quali la presenza della mandorla va a esaltare in pieno il sapore del vermouth. Agli impieghi più tradizionali si aggiunge poi l’uso nell’alta miscelazione, dove può andare a sostituire gli altri vermouth bianchi per originali rivisitazioni di grandi classici, o per dar vita a nuove creazioni.

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