Happy hour: nascita ed evoluzione storica del termine e della formula

happy hour

Le prime menzioni del termine happy hour sono rintracciabili su alcuni quotidiani americani di fine Ottocento e Novecento. Nello specifico in due articoli pubblicati dal Syracuse NY Daily nel 1909 e, ancora prima dal The Call del 1894, a proposito dell’Happy Hour Social Club, ente caritatevole che organizzava lauti banchetti di nozze e feste varie. Nei primi anni del Novecento l’happy hour diventa addirittura uno strumento di propaganda per le suffragette e il femminismo che rivendicava diritti fondamentali. Non solo il voto, la parità, l’uguaglianza ma, più prosaicamente, quello di entrare nel saloon senza essere guardate con sospetto o, peggio, respinte. C’è un’illustrazione satirica della rivista Puck (l’immagine in apertura) pubblicata nel 1908 e disegnata Harry Grant Dart che mostra, cito testualmente, «Una scena dell’orrore: un bar gremito di donne che fanno cose oscene secondo i costumi dell’epoca. Donne che bevono, fumano, mangiano al buffet e si divertono come farebbe un uomo».

Da lì il termine “happy hour” si diffonde in luoghi insospettabili: le navi da guerra. Ne scrive, tra i primi, il quotidiano newyorchese The Sun il18 aprile 1914 che riporta dei balli (feminineless tango, tango senza le donne) e degli incontri di pugilato a bordo della U.S.S. Arkansas. Così scrive: «L’happy hour, o meglio le happy hour, sono momenti di svago a bordo delle navi da guerra che avvengono tre sere alla settimana. Coinvolgono marinai e ufficiali nei periodi di navigazione». In questo caso non si parlava né di drink né di cibo, anche se è facile immaginare che l’alcol, a bordo ring, non mancasse.

A cavallo degli anni Sessanta e Settanta l’happy hour raggiunge il suo apice. Sempre in America vengono pubblicati diversi volumetti destinati a guidare padrone (e padroni) di casa nella realizzazione di feste a base di cocktail e stuzzichini di gusto più o meno dubbio. In libreria escono pubblicazioni come Happy Hour Bar Guide – 45 recipes e Spirit of ’76 Happy Hour Bar Guide.

Operazioni di sconto

Col tempo happy hour diventa sinonimo di bevute a prezzo scontato. Nei Paesi anglosassoni diventa col tempo la nota operazione di sconto prendi “2drink, paghi 1”. E arriviamo a noi. Siamo a Milano, a metà degli anni Novanta, alla fine della Milano da Bere e all’inizio di Mani Pulite. Un vero terremoto politico e giudiziario che paradossalmente ha generato voglia di rinnovamento, di rinascita, di rimboccarsi le maniche, di fare impresa. In quegli anni un barista della scena milanese inaugura una nuova formula che prevedeva il servizio di drink accompagnato da un ricco buffet. È in questo modo che Vinicio Valdo, al tempo barman e titolare del Cap Saint Martin nella zona delle Colonne di San Lorenzo, ha dato il via a una nuova stagione per i bar serali milanesi. Il fenomeno si è presto diffuso a macchia di leopardo in tutta la città e nel giro di pochi anni tutti facevano “happy hour”, fenomeno che nel resto d’Italia fu presto ribattezzato “aperitivo alla milanese”.

Come succede con tutte le mode, presto qualcuno esagerò e ci trovammo di fronte a montagne di pasta, pizzette, salami in ogni angolo del locale. Un vero assalto alla baionetta da parte di chi, con solo 5000 lire (2,50 euro di oggi), poteva prendere un drink e fare strage al buffet. Col tempo si generarono accrocchi gastronomici e linguistici da brividi. Termini da piccola grande bottega degli orrori come l’apericena (neologismo contemplato perfino nella Treccani) e i suoi famigerati discepoli: aperipizza, aperipesce, aperipasta, aperibirra, aperisushi, aperimensa, aperitivocenato, aperizuppa, aperipesce, aperitavola, aperidolce, aperidessert e perfino l’aperitivo cenato, rinforzato, barricato.

Adesso superata, o meglio parzialmente abbandonata la moda del rito abbuffatorio, l’aperitivo sembra riappropriarsi del suo etimo latino di “aperire” e del suo autentico significato di bevanda alcolica (o analcolica) concepita per stimolare l’appetito, da servire con il giusto stuzzichino.

L’alba di una nuova era

Cos’è rimasto del periodo dell’happy hour? I cocktail. Grazie alla formula dell’happy hour all’italiana, o meglio alla milanese, molti nuovi clienti sono entrati in contatto con il mondo della mixology che prima né conoscevano né prendevano in considerazione. Fino a metà degli anni Novanta si diceva andiamo al pub a schiumarci una birra, al massimo a bere un bicchiere di vino. Di cocktail nessuno sentiva il bisogno. Erano considerati roba da Pleistocene. E se le ultime generazioni di barman hanno avuto l’occasione di riportare alla luce i grandi classici, talvolta i drink fossili, lo dobbiamo anche a tanti ex ragazzi, un tempo noti come “il popolo dell’abbufet” e ai baristi.

1 commento

  1. Quoto in pieno quando dice che l’aperitivo alla milanese ha fatto avvicinare tante persone al mondo dei Cocktails. Ormai 5 anni fa, lanciai da Head Bartender insieme al mio allora direttore in un locale zona Colosseo a Roma l’happy hour con buffet, prima consumazione obbligatoria 10 euro cocktail o drink + buffet illimitato (o gli ospiti potevano cenare). Passammo da fare 60 cocktails a servizio a farne 140/160 solo dalle 18:30 alle 22:30. E i numeri del week end erano ridicoli, superavamo i 200 ticket solo di prime consumazioni. E siccome la gente pagava tutti i cocktails uguali solo 1/4 erano Spritz. Ricordo che facevamo Negroni ed old Fashioned, margarita, whiskey sour etc come se non ci fosse un domani ? ora a Londra se tolgo i Vodka & Soda e I Gin & T rigorosamente con gli house spirits, me li posso solo che sognare quei numeri.

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