Servire l’acqua responsabilmente

Sistemi –

Dotarsi di un impianto per il trattamento dell’acqua potabile ha indubbi vantaggi. Ma la scelta del fornitore deve essere oculata. I consigli di un esperto

È ormai abitudine diffusa, nei pubblici esercizi, somministrare acqua potabile trattata. Bramini del risparmio e paladini dell’ambiente ne hanno a lungo elogiato i vantaggi economici e ambientali: riduzione dei rifiuti e delle emissioni di Co2 per il trasporto, ottimizzazione della gestione del magazzino ecc. Tutto vero.
Non stupisce allora che, fiutato il business, in molti ci si siano buttati. Tanto che oggi l’offerta di apparecchiature per il trattamento dell’acqua risulta variegata e, in alcuni casi, improvvisata. Per far fronte a queste nuove situazioni di mercato con uno strumento più consono ai tempi e maggiormente rispondente alle regole dell’Unione Europea, dopo una lunghissima gestazione, la Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10.04.2013, ha pubblicato le “Linee guida sui dispositivi di trattamento delle acque destinate al consumo umano, ai sensi del D.M. n. 25 del 7 febbraio 2012”.

Di chi sono le responsabilità
Come a dire: il gestore in cerca di un fornitore affidabile ha ora tra le mani uno strumento indispensabile per valutare i propri partner. Abbiamo chiesto di commentare le nuove linee guida ad Antonio Poli, direttore commerciale di Sidea Italia, azienda che opera nel trattamento dell’acqua potabile da oltre 30 anni, depositaria del brevetto di acqua naturizzata e capofila di Assonaturizzatori. «La vera novità - spiega Poli - è la completa responsabilizzazione del fornitore e di chi deve gestire l’impianto».
Si legge nelle linee guida: “laddove l’acqua trattata è somministrata al pubblico (ristoranti, bar, fontanelli ecc.), i gestori di tali attività sono considerati “Osa, Operatori del Settore Alimentare”, e ciascuna unità distributiva deve adottare/integrare il sistema Haccp con l’individuazione dei punti critici di controllo. «Per quanto riguarda i fornitori - precisa Poli - quest’ultimi sono responsabili dell’impianto nel suo complesso: perciò è bene diffidare di chi vanta certificazioni solo sui filtri o altre parti della macchina. E ancora: il decreto è estremamente puntuale nel prescrivere l’obbligo per il produttore di dotare gli impianti di istruzioni che definiscano chiaramente le funzioni degli apparecchi, le manutenzioni necessarie, l’autonomia e quindi la necessità di rigenerazione o sostituzione di componenti, responsabilizzando quindi anche l’utente, che non può permettersi di trascurare questi apparecchi, ma ne deve garantire la gestione e la manutenzione secondo le istruzioni del fornitore». In altre parole, il gestore del bar che utilizza ricambi non originali o si rivolge a personale non qualificato per la manutenzione, abbagliato dal prezzo basso, rischia grosso. Per la cronaca: un contratto di manutenzione per due interventi l’anno vale poche centinaia di euro secondo i modelli. Vale la pena rischiare?
«La tendenza che va per la maggiore è quella di ricorrere alla formula del noleggio - testimonia Poli -. Dai test effettuati dalla nostra azienda è la soluzione ottimale che permette al gestore di “sgravarsi” dell’impegno della manutenzione: prova è che grazie al nopleggio proposto da Sidea, abbiamo avuto l’85% della rispondenza. La nostra forza si basa nella capacità di investimento che ci permette di offrire al cliente un rapporto diretto con l’azienda a un canone mensile inferiore alla spesa media che il ristorante sostiene per l’acquisto di acqua minerale. E che comprende tutto il necessario per il servizio».

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