L’equosolidale mette radici

Tendenze –

I grandi marchi internazionali dell’horeca, da Starbucks a Ben & Jerry’s, rafforzano la gamma (e i fatturati) dei prodotti a marchio Fairtrade. In Italia il mercato cresce a due cifre. E l’offerta continua ad ampliarsi

Alla faccia della crisi, il numero di persone che si rivolge ai prodotti equosolidali a marchio Fairtrade è in costante crescita. Ed è sempre più frequente, a Londra come a Berlino, entrare in un bar e prendere un caffè proveniente da una piccola cooperativa di produttori guatemaltechi o bersi un succo d’ananas realizzato da un produttore del Ghana che reinveste sul benessere della sua comunità. Merito dell’aumentata sensibilità degli occidentali nei confronti di un consumo più attento ai temi etici, anche fuori casa.
Alla base del sistema commerciale Fairtrade c’è l’aiuto agli agricoltori delle zone rurali più sottosviluppate del pianeta, verso i quali sono stati stretti accordi commerciali preferenziali che prevedono il pagamento dei prodotti a una quotazione più elevata di quella stabilita dai mercati internazionali, in modo da favorire l’iniziativa, il sostentamento, il progresso sociale e il benessere delle comunità locali, con regole che facilitano l’accesso al credito, anche agli agricoltori più poveri. In cambio, i produttori devono impegnarsi nel rispetto di determinati standard qualitativi.
A sorvegliare sul rispetto di queste regole, e a garantire le aziende e i consumatori occidentali acquirenti sulla qualità, è Flo (Fairtrade Labelling Organizations International), associazione no profit con sede in Germania, a Bonn. Solo i prodotti che rispettano gli standard possono fregiarsi del marchio Fairtrade.

Grandi catene pioniere

Attenti alle evoluzioni dei consumi e dei gusti dei consumatori, diversi grandi gruppi internazionali dell’horeca e della gdo hanno da tempo inserito nella loro offerta caffè, cioccolato, biscotti, dessert, miele e altri beni provenienti da produttori del Sud del mondo. Big come Starbucks, Cadbury, Ben & Jerry’s e Sainsbury’s, a fianco delle linee convenzionali hanno presentato analoghi prodotti fairtrade ottenendo ottimi risultati.
«Molti brand internazionali vedono in Fairtrade un investimento importante per il loro futuro - spiega Rob Cameron, direttore di Fairtrade Labelling Organizations International, che controlla il marchio di certificazione Fairtrade -. Ed è incoraggiante vedere come l’impegno verso il Fairtrade resti forte anche in questo periodo di crisi. I nostri produttori ne hanno bisogno ora più che mai: devastati dalla crisi globale del cibo, diventano due volte più sfortunati a causa della recessione globale».
Starbucks, leader mondiale delle caffetterie, in Gran Bretagna e Irlanda vende caffè espresso proveniente dal commercio equo e solidale: nel 2009 ha raddoppiato gli acquisti rispetto al 2008 e ha investito 20 milioni di sterline in programmi di prestito per i piccoli coltivatori. La catena distributiva Sainsbury’s ha accresciuto del 50% le proprie vendite di equo e solidale.
In Italia c’è poca conoscenza
Se nel mondo anglosassone la conoscenza dei prodotti Fairtrade è capillare, l’Italia è in ritardo: solo un adulto su cinque conosce il significato corretto di equo e solidale, nonostante una fiducia nelle certificazioni di prodotto tra le più alte nel panorama occidentale. Ciononostante, nel 2008 le vendite sono aumentate del 20% in volume e dell’11,5% a valore, arrivando a 43,5 milioni di euro. La spesa pro capite degli italiani è però meno della metà di quella potenziale (calcolata in 4,5 euro/anno). A frenare lo sviluppo delle vendite di prodotti equosolidali ci sono la difficoltà a reperirli, il prezzo mediamente più elevato, la scarsa informazione sul marchio. «C’è ancora molto da fare perché i prodotti Fairtrade diventino sempre più visibili - spiega Paolo Pastore, direttore di Fairtrade Italia -. Il nostro impegno sarà rivolto a rafforzare ancora di più il rapporto con i distributori in Italia e a lanciare nuove referenze. Vogliamo cambiare il mercato, restando nel mercato».

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