Il ghiaccio? Un ingrediente chiave per i cocktail

Solo qualche anno fa i consumatori guardavano al barman che metteva tanti cubetti di ghiaccio nel loro drink come a un furbetto, che provava a riempire il bicchiere risparmiando il più possibile sul prodotto. «Ma ora le cose sono molto cambiate e anche un prodotto apparentemente banale e semplice da produrre, come il ghiaccio appunto, ha una nuova importanza sia agli occhi del pubblico che per i professionisti. In particolare, non è più visto come qualcosa da aggiungere a un drink semplicemente per raffreddarlo, ma come un vero e proprio ingrediente, che deve avere determinate caratteristiche di qualità ed estetiche». A parlare è Simone De Martino, presidente di Ice Cube, società basata in Sicilia che produce ghiaccio purissimo confezionato per horeca e grande distribuzione. Ci siamo rivolti a lui per capire quali siano, oggi, le tendenze di consumo e di utilizzo di questo prodotto nei locali.

Effetto trasparenza

È subito sorprendente scoprire che, prima ancora delle forma, che sia cubetto, cilindro, crushed o ecc., quello che si cerca di più nei bar di un certo livello in Italia è la qualità. «Noi italiani - dice De Martino - siamo estremamente attenti all’alimentazione e alla naturalità, più di quanto accada in ogni altro Paese del mondo. E questo lo vediamo anche nel nostro settore. Un cubetto perfettamente trasparente e molto compatto è assai più apprezzato di uno granuloso o opaco, sia dal bartender che dal pubblico». E non è solo un fatto estetico. Se il ghiaccio è molto trasparente, infatti, vuol dire che è stato prodotto con un’acqua molto pura e oligominerale, cioè povera di sostanze disciolte. Un’acqua di questo tipo si compatta molto di più quando viene trasformata in ghiaccio: il cubetto, di conseguenza, durerà molto di più nel bicchiere, mantenendo più a lungo la temperatura e annacquando di meno il drink. «Un effetto - spiega De Martino - strettamente legato alla quantità di ghiaccio utilizzato. Ecco allora che il consumatore esperto e informato non protesta più se vede che il barman mette molti cubetti nel tumbler. Più se ne usano, più il bicchiere sarà freddo e più lenta sarà la fusione che finisce per annacquare la bevanda». C’è quindi anche un’importanza funzionale nel preferire del ghiaccio molto trasparente, cui si unisce poi un fattore estetico o “edonistico”, come lo definisce De Martino. «Più i cubetti sono cristallini – dice – più sono piacevoli alla vista e apprezzati».

La scelta del formato

Queste caratteristiche estetiche devono ritrovarsi anche nel “crushed”, il ghiaccio usato nei cocktail frozen o nei pestati, sempre molto richiesti nei locali, soprattutto dal pubblico femminile. Per questi drink c’è, in sostanza, un’unica tipologia di prodotto, il “crushed” appunto, cioè spaccato in scaglie di piccole dimensioni, differente dal pilée, che è invece tritato e usato soprattutto per conservare prodotti alimentari, come il pesce o i frutti di mare e che si può vedere nelle vetrine di pescherie e ristoranti.

Il ritorno dei blocchi

Diverso il discorso per ghiaccio in cubi o in cilindri. «C’è un ritorno ai blocchi di grosse dimensioni – spiega De Martino – simili a quelli commercializzati ai tempi in cui ancora non esistevano i frigoriferi, che poi venivano spaccati dai bartender con una tecnica oggi chiamata “ice carving”. Ci vuole tempo, diversi giorni, per produrre blocchi di questo tipo, e non sempre un locale è attrezzato per farlo. Noi commercializziamo il ghiaccio in questo formato e anche in cubi estremamente trasparenti e scenografici da 4 cm di lato».

Infine un altro taglio molto apprezzato ed efficace è quello del cilindro forato all’interno, «Un formato che ha il vantaggio – dice De Martino – di offrire una superficie di contatto molto elevata e di aumentare così l’effetto refrigerante rispetto al cubetto normale».

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