Vale la pena investire in un bar?

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La deregulation ha ridotto l’attività di compravendita delle licenze. Ma le cose non sembrano andare così male, a giudicare l’offerta sul mercato di metri quadrati sia in vendita, sia in affitto

Conviene aprire un nuovo bar o comprare la licenza di uno già avviato? Diciamo subito che la deregulation ha svuotato l'attività di compravendita delle licenze e la caduta dei consumi ha indotto sponsor e operatori che “facilitavano” l'accesso con varie forme di finanziamenti a tirare i remi in barca: torrefattori, birrai, gelatieri e ricchi gestori dei marchi di giochi non sono più convinti, come prima, della redditività del bar. Per Giovanni Larini, coordinatore nazionale del listino Fimaa-Confcommercio, la federazione italiana dei mediatori d'affari che ogni anno rileva il prezzo dei pubblici esercizi e l'andamento delle compravendite, il valore delle licenze è stabile. «Varia in percentuale all'incasso nella stessa misura di sei o sette anni fa - spiega - il guaio è che gli incassi sono diminuiti. La crisi si fa sentire, ma la sopporta meglio chi ha attività ultranquinquennali e ha già terminato di pagare l'investimento iniziale. Vede ridurre i ricavi, ma sopravvive. È dura, invece, per chi ha cambiali da pagare. Chi ha comprato a condizioni di mercato inattuali, prova a ritrattare l'importo della cambiale con il vecchio proprietario, cerca di sospendere i pagamenti o di allungarli. In caso contrario vende».
«Oggi vale la pena aprire un bar ex novo - controbatte Flavio Biella, direttore di Consultazienda, che si occupa della ricerca di personale e della compravendita del settore ristorativo/alberghiero -. Trovi sconti elevati. Le licenze non sono più contingentate e devono solo rispettare i parametri comunali. Insomma puoi evitare di acquistarle».
E conferme arrivano anche dal mercato immobiliare. Secondo Alessandro Ghisolfi, direttore dell'Ufficio Studi Ubh, la holding che gestisce le reti in franchising di Professionecasa, Grimaldi, Rexfin e Assirex del settore immobiliare, creditizio e assicurativo, lo stato di salute dei bar è buono, soprattutto se rapportato ad altre realtà commerciali. «In termini di vacancy rate - spiega - ovvero il tasso che indica l'offerta presente sul mercato in metri quadri sia in vendita che in affitto, l'assorbimento di spazi commerciali in Italia per aprire un bar rimane vivace rispetto ad altre realtà commerciali, come l'abbigliamento. A maggio 2009 la crescita è stata dell'1,5% rispetto all'anno precedente e ha determinato il superamento di quota 135 mila locali. La liberalizzazione delle licenze ha sicuramente influito, creando però anche pericolose situazioni di surplus di concorrenza, soprattutto nei centri storici delle metropoli e nei quartieri in cui la presenza di locali diurni e notturni è alta, tipo Brera a Milano o il Testaccio a Roma».
I bar, specialmente i bar-tabacchi e quelli vicini a uffici, università e ospedali sono sempre richiesti. Ma chi vuole aprirne uno, deve considerare alcuni parametri di mercato. Importante è saper stimare bene l'area, offrire prodotti alternativi alla concorrenza e non lasciarsi ingannare dall'alta frequentazione di persone che non è certo si trasformino in clienti. «Bisogna valutare attentamente costi e ricavi, soprattutto se il locale è in centro - conclude Ghisolfi -. Fare attenzione ai costi accessori e alle ristrutturazioni che si hanno in mente di fare. E ancora: aprire in una zona interessata da lavori di riqualificazione urbana è interessante. A Milano, per esempio, si stanno aprendo opportunità nell'ex Fiera (progetto City Life) e nell'area Garibaldi Repubblica, dove sorgeranno residenze d'alto livello, spazi verdi e locali destinati al commercio e al terziario».

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