Ticket elettronico, vantaggi per tutti

Osservatorio –

Aumento della quota esente da 5,29 a 8 euro, introduzione del buono elettronico, lotta al fenomeno del “secondo passaggio”, nuova normativa fiscale: sono le principali proposte di riforma del settore contenute in uno studio dell’Università Bocconi

Considerare i buoni pasto una voce importante nel bilancio delle famiglie può sembrare un’esagerazione: in fondo si tratta di uno strumento che, in più di otto casi su dieci, ha un valore limitato a 5,29 euro. Se, però, consideriamo che negli ultimi vent’anni il tasso di risparmio delle famiglie italiane è sceso dal 22% all’8,8% si capisce che poter contare su un buono pasto diventa un vantaggio non irrilevante, in un momento in cui si tende a rimandare ogni spesa appena rinviabile.
Anche il sistema Paese beneficia dell’esistenza dei buoni pasto da un duplice punto di vista: perché stimolano il consumo da parte dei dipendenti che ne usufruiscono e perché sono soggetti a fatturazione per ottenere il pagamento del loro valore da parte della società emettitrice, generando 306 milioni di Pil e 438 milioni di risorse fiscali per l’Erario. Inoltre, il buono pasto è totalmente monetizzabile sul mercato interno.

Valore “ingessato”
Fra gli addetti ai lavori è in corso da tempo un dibattito sulla possibilità di aumentare la soglia dell’esenzione, anche perché dal 1997, anno in cui è entrata in vigore la soglia di 5,29 euro, il potere d’acquisto in Italia è cresciuto solo del 15%, contro il 41% della Germania, il 46% della Spagna e il 58% della Francia. Un’ipotesi che ha stimolato anche gli autori di un recente studio effettuato dall’Università Bocconi di Milano (in collaborazione con le aziende del settore Sodexo Motivation Solutions e Day Ristoservice Servizio Buoni Pasto), con un obiettivo preciso: individuare possibili percorsi di riforma del settore che siano a costo zero per lo Stato. Se, infatti, l’aumento della quota esente avrebbe riflessi positivi sia per il lavoratore (e la sua famiglia) sia per il Pil, non avverrebbe altrettanto per l’erario.
Prima di entrare nel dettaglio delle proposte avanzate dallo studio della Bocconi, ricordiamo come funziona il sistema. Il mercato dei buoni pasto coinvolge quattro attori: le società emettitrici, le aziende che acquistano i buoni pasti per i propri dipendenti, i dipendenti stessi e gli esercizi che accettano i buoni pasto e li restituiscono alla società emettitrice con contestuale emissione di fattura.
Nel quadro dell’attuale legislazione l’Erario di fatto non riscuote l’Iva, dato che sia l’imposta addebitata dalla società emettitrice all’azienda che acquista i buoni pasto per i dipendenti (al 4%) sia quella addebitata dall’esercizio convenzionato alla società emettitrice (al 10%) sono detraibili. Inoltre, bisogna tener conto di quello che viene chiamato il “secondo passaggio”, cioè il riutilizzo del buono pasto da parte dell’esercente per la spesa al supermercato.

Famiglie agevolate
Da questa realtà è partito il gruppo di ricerca della Bocconi (composto da Carlo Altomonte, Stefano Riela, Giuseppe Marino, Andrea Ballancin, Serena Cibecchini, Salvatore Padula, Daniele Russetti, Alexandre Tawil) per mettere a punto le sue ipotesi di riforma.
La principale modifica riguarda, appunto, l’aggiornamento del valore esentasse (da 5,29 a 8 euro), elemento che aumenterebbe il vantaggio dei buoni pasto per le famiglie, ma anche per il sistema Paese. L’esenzione più elevata aumenterebbe il potere d’acquisto delle famiglie che, con i loro consumi, riuscirebbero a far crescere il Pil di 93,5 milioni di euro (prendendo come riferimento le previsioni per il 2013 a legislazione invariata). Tuttavia, il semplice aumento dell’esenzione a 8 euro comporterebbe una perdita di gettito Irpef per 106,4 milioni di euro in parte compensata (27,7 milioni di euro) da maggiori consumi derivanti dall’aumento del reddito dei lavoratori.
Il saldo negativo per l’erario sarebbe, quindi, di 78,7 milioni di euro. Lo studio della Bocconi prospetta una soluzione per recuperare questo ”buco”: il buono elettronico. Se si arrivasse a sostituire il tradizionale buono cartaceo con una tessera plastificata dotata di chip e/o banda magnetica, il fenomeno del secondo passaggio sarebbe automaticamente azzerato, grazie alla tracciabilità dei pagamenti.
Di quanto sarebbe il “guadagno” per l’erario?
I ricercatori hanno fatto delle ipotesi: se su dieci buoni pasto fatturati dai supermercati alle società emettitrici uno fosse il risultato di un secondo passaggio, si potrebbe stimare, nel caso di introduzione sia dell’esenzione a 8 euro sia del buono pasto elettronico, un recupero di evasione di 78,8 milioni di euro, cioè superiore alla perdita Irpef derivante dall’aumento dell’esenzione.
Anche per gli esercizi convenzionati, osservano gli autori dello studio, sarebbe un cambiamento positivo perché uno strumento come il buono pasto elettronico aumenta l’efficienza complessiva.
Naturalmente, il passaggio a questa diversa modalità non è realizzabile da un giorno all’altro. C’è il problema che i locali pubblici che accettano buoni pasto in pagamento dei servizi di ristorazione erogati sono un numero molto rilevante: più di 100mila.
Di conseguenza sono intuibili le difficoltà a operare un cambiamento che li coinvolga tutti in tempi rapidi. Inoltre, c’è il problema pratico che ogni società emettitrice dota il locale convenzionato di un proprio Pos, mentre l’introduzione del buono pasto elettronico presuppone, invece, l’esistenza di una rete e di una gestione unica. Un’altra strada percorribile, secondo il gruppo di ricerca bocconiano, è il ripensamento graduale della disciplina fiscale dei buoni pasto: bisogna affrontare la questione della politica degli sconti che di fatto, nell’attuale quadro normativo, si traduce in una perdita di Iva per l’erario e non avvantaggia nemmeno le società emettitrici, dato che il differenziale positivo ottenuto da queste ultime nella misura dell’Iva scorporata, nella realtà viene “ribaltato” sulle aziende clienti sotto forma di sconto. L’obiettivo di una diversa normativa fiscale dovrebbe essere quello di considerare l’attribuzione di un buono pasto e il momento di effettiva cessione o prestazione dei servizi come un’operazione unica ai fini Iva. Anche in questo caso si tratta di un risultato che non può ragionevolmente essere raggiunto in tempi rapidi e senza tenere in considerazione un’ampia serie di variabili.

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