Sartor: “A fianco del bar per svilupparne il business”

Diageo –

Rivoluzione customer marketing. Diageo Italia inaugura un nuovo approccio al canale bar, che parte dai bisogni delle imprese e ha l’obiettivo di sostenerne traffico e fatturato. Ne parla l’amministratore delegato

Tanqueray, Oban, Talisker, Pampero, Smirnoff, Guinness, Johnnie Walker. Marchi dell’aristocrazia del bere premium e che hanno un denominatore comune: Diageo, il big player globale dell’alcolico, presente in 180 mercati e quotato alle Borse di Londra e di New York. A capo della filiale italiana, che vanta un giro d’affari netto di 141 milioni di euro, c’è Sandro Sartor. Un manager che, entrato giovanissimo nei ranghi della multinazionale britannica, ha scalato uno per uno tutti i gradini della gerarchia aziendale, guadagnandosi sul campo, nel 2005, i galloni di amministratore delegato e direttore generale. Dunque, un superesperto del beverage alcolico, che va subito al nocciolo dell’attualità. «Nonostante la crisi – esordisce Sartor – il mercato delle bevande alcoliche ha tenuto abbastanza bene, come d’altronde altri settori dell’alimentare. Ci sono, ovviamente, una serie di distinguo a livello Paese, ma un’azienda globale come Diageo, presente in più categorie con prodotti che coprono tutte le fasce di prezzo, è riuscita a mediare le turbolenze generate dalla crisi. Ci sono mercati che hanno risentito moderatamente della recessione come Stati Uniti e Canada o altri dove non si è sentita per nulla come l’India. Per contro, la congiuntura ha colpito duramente in Spagna e si è fatta sentire nell’Europa dell’est, area dalle grandi prospettive di sviluppo. Paradossalmente, l’Europa occidentale, considerata un mercato maturo, è in termini relativi tornata alla ribalta e si sono ristabiliti, in un certo senso, i vecchi rapporti di forza.

Riguardo all’Italia cosa ci può dire?

Assistiamo a un fenomeno che riguarda non solo il nostro Paese, ma tutta l’Europa. E cioè a una migrazione dei consumi dal fuori casa alle mura domestiche. Ad esempio, le colazioni al bar si stanno riducendo e aumentano le vendite della grande distribuzione di biscotti, merendine ecc. Questo travaso di consumi non si sta verificando per il beverage alcolico, se non in misura marginale. L’italiano quando va fuori casa non va per bere, ma soprattutto per socializzare e quindi il bere è un accessorio. E se non esce non consuma proprio, nemmeno a casa. Certo, i dati sulle vendite dell’off trade sono in contrazione, ma non si tratta di una contrazione drammatica.

Quanto pesa questa contrazione?

A volumi è nell’ordine del 3-4%. Quindi una flessione non significativa. Semmai è molto più importante segnalare l’effetto destocking: tutti, dalle aziende al consumatore, stanno ottimizzando gli stock e, quindi, differiscono ordini e consumi. Un altro effetto della crisi è la carenza di liquidità: abbiamo clienti che non pagano e a cui abbiamo dovuto purtroppo sospendere il credito.

A livello di singola categoria di supercalcolici qual’è il vostro bilanco?

Partirei da quella che va meglio, la vodka. Una categoria in crescita a doppia cifra dove siamo presenti in forma massiccia con Smirnoff Red, Smirnoff Black, Ketel One e Ciroc, presidiando diversi segmenti di prezzo. Bene anche il rum, anche se la categoria è in una fase di maturità e risente di un affollamento di brand. Su Pampero stiamo investendo moltissimo con risultati straordinari, siamo difatti diventati co-leader di categoria, e Zacapa cresce a doppia cifra, un exploit per un prodotto che costa oltre 50 euro a bottiglia. Sul gin, non ci sono stati invece grandi scossoni. Qui siamo leader incontrastati del mercato con una quota del 40% a valore. Il whisky, per contro, è in una situazione difficile in quanto è una categoria dove da anni non si fanno investimenti seri. Resistono solo i whisky di puro malto.

Avete intenzione di espandervi nell’area del low alcol o dell’alcol free?

Sì, ci stiamo lavorando. Abbiamo già in portafoglio prodotti a basso tenore come Bailey’s o Grand Marnier, di cui dal prossimo gennaio riprenderemo la distribuzione. Più difficile il discorso “zero alcol”: stiamo sperimemtando nelle aree vino e birra, ma la qualità non ci soddisfa ancora.

Quale messaggio state passando al trade?

Ai gestori diciamo di trattare bene i loro clienti. La nostra posizione è che il consumatore alla fine ciò che ama di più è bere sempre gli stessi cocktail e che il bisogno di sperimentare appartiene più al barman che al cliente. Dunque, i classici del genere devono essere fatti a regola d’arte e qui registriamo un deficit di preparazione dei nostri pur bravi barman rispetto ai loro colleghi americani. spagnoli, francesi o inglesi. Ciò vale ancora di più in tempo di crisi dove il consumatore magari beve meno, ma quando lo fa cerca di massimizzare il valore della spesa ricercando la qualità.

Come state sostenendo i locali vostri clienti in questo momento così difficile?

Siamo in prima linea con loro, ogni giorno. Per fare questo abbiamo rivoluzionato la struttura marketing creando due divisioni: il consumer marketing e il customer marketing con nuove professionalità e persone. Quest’ultimo ha il compito di sviluppare il business del bar partendo dai suoi bisogni prima ancora che dai nostri. Con un investimento aggiuntivo di 800mila euro abbiamo generato una serie di attività per sostenere eventi e serate a tema all’interno dei locali nostri clienti. Si tratta di “party kit” distribuiti a 3mila clienti diretti e a 1.000 indiretti. Prima che sui nostri brand oggi vogliamo infatti focalizzarci sul business del pdv, aiutandolo a sviluppare fatturato e rendere così sostenibile la sua attività nel tempo.

Avete già raccolto dei risultati?

Sì e con piena soddisfazione dei nostri clienti. Anche la nostra rete commerciale si sta evolvendo: aumenteranno le persone a presidio dei pdv. Meno negoziatori negli uffici dei buyers e più attivatori di business sui punti di vendita e di consumo. Anzi di new business. Per tutti.

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