L’azienda coniugale? Se i redditi sono medio-alti conviene

L’azienda coniugale è una tipologia poco utilizzata.  È un’impresa collettiva fra marito e moglie a cui non possono partecipare altri soggetti.

È disciplinata dal codice civile (articolo 177), che stabilisce che costituiscono oggetto della comunione legale anche le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Possono rientrare anche le aziende appartenute a uno dei coniugi prima del matrimonio ma successivamente gestite da entrambi in regime di comunione dei beni; in questo caso la comunione riguarda solo gli utili e gli incrementi successivi al matrimonio e non l’importo del patrimonio formatosi prima.

Non è necessaria alcuna particolare formalità in sede di costituzione: l’azienda coniugale, infatti, certifica una situazione di fatto esistente e non dipende da una scelta giuridica di forma.

Le caratteristiche

Pur essendo a pieno titolo una ditta individuale, è caratterizzata da alcuni elementi specifici:

• entrambi i coniugi gestiscono l’impresa a parità di condizioni, anche se nella ditta appare solo il nome di uno di loro, che risulta titolare; questo è l’aspetto che più caratterizza l’azienda coniugale;

• il coniuge del titolare collabora alla gestione dell’attività;

• entrambi i coniugi sono responsabili delle obbligazioni dell’impresa;

• il reddito è tassato in capo a ognuno dei due coniugi per metà ciascuno e le quote della società sono ripartite al 50% ciascuno.

Due coniugi in regime di separazione dei beni non possono esercitare l’attività nella forma di azienda coniugale; dovranno costituire una società oppure, se un coniuge rinuncia alla gestione, un’impresa familiare.

Anche l’azienda coniugale, come l’impresa familiare, può offrire il vantaggio di una minor tassazione complessiva nel caso di redditi medio-alti, perché il reddito diviso tra i coniugi può consentire di applicare aliquote Irpef inferiori a quella che si applicherebbe al reddito complessivo.

Non sempre conviene

Un’apparente contropartita negativa potrebbe essere l’obbligo di iscrizione del coniuge nella gestione previdenziale. Bisogna però tener presente tre aspetti: il primo è che il coniuge a fronte di questi versamenti avrà diritto a una pensione; il secondo è che, se il reddito complessivo non supera il massimale Inps, tali contributi sarebbero stati ugualmente versati dal titolare sulla propria posizione; il terzo è che il coniuge, se collabora all’impresa in modo continuativo e prevalente, deve essere comunque iscritto alla gestione previdenziale Inps, indipendentemente dalla configurazione dell’azienda. In caso di redditi bassi (sotto i 15-20mila euro all’anno), visto l’obbligo del versamento previdenziale minimo di circa 3.465 euro annui, il carico previdenziale potrebbe essere superiore al vantaggio fiscale.

Tasse e contributi

Il reddito è tassato in capo al coniuge titolare (Irpef più addizionali comunali e regionali), per la sua quota di utile pari al 50%, mentre per la restante quota di reddito le imposte vengono liquidate e versate dal coniuge. Il titolare provvede a liquidare interamente l’Irap e i contributi previdenziali di entrambi i coniugi.

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