Hotel in vendita, un business da 700 milioni

Mercato immobiliare –

Gli investimenti nascondono problemi di vecchia data: la metà degli alberghi richiede manutenzione urgente

Per gli investimenti immobiliari nel settore dell'ospitalità il 2007 potrebbe essere un altro anno caldo, dopo il picco dei 700 milioni di euro del 2006. Tra le strutture di pregio in vendita il JW Marriott Tiberio Palace di Capri, lo Starwood Venezia Lido & Asolo Properties e lo Sheraton Roma. Molte sono anche le operazioni in corso, come la prossima apertura del Four Season a Firenze (117 camere) a Palazzo della Gherardesca.

Anche per i prossimi anni le previsioni di sviluppo degli investimenti immobiliari nelle strutture ricettive sono imponenti: oltre 2 miliardi di euro per nuove iniziative e ristrutturazioni, con il coinvolgimento dei maggiori operatori del settore, da Pirelli Re ad Acqua Marcia, da Fondiaria Sai a Merrill Lynch. «Oggi il mercato è molto caldo - spiega Fabrizio Trimarchi, manager di Jones Lang LaSalle Hotels (www.joneslanglasallehotels.com) - e si sta chiaramente indirizzando verso tre strade. Quella dei grandi alberghi di pregio, dove sono coinvolti fondi di private equity internazionali, per i quali si paga un premium price del 20-30% superiore al prezzo fair. Gli alberghi medio-piccoli interessanti per localizzazione o per tipologia, come le dimore storiche o le ville d'epoca. Infine, i numerosi progetti di sviluppo di resort, soprattutto nelle regioni meridionali».

Proprietà e gestione: i problemi del settore alberghiero italiano
Il matrimonio tra real estate e turismo assume in Italia connotazioni particolari. «Molte catene alberghiere - afferma Elena David, direttore generale di Una Hotels & Resorts - fanno riferimento a proprietà che provengono dal settore delle costruzioni e che hanno interessi forti nell'immobiliare. Sono imprenditori che vedono il business più nel mattone che nella gestione. Ne consegue che in molti casi l'insegna con cui viene gestito l'hotel è del proprietario».

Da qui nascono, poi, i mali del settore: il 70% dell'offerta è di categoria medio-bassa, la dimensione delle strutture è in media di 30 camere, mancano compagnie alberghiere di livello internazionale, e tutte le catene italiane non raggiungono, per numero di camere, la più piccola catena americana. «La tendenza ad acquisire la proprietà degli immobili e il conseguente bisogno di liquidità - spiega David - ha di fatto condizionato lo sviluppo dimensionale del settore ricettivo italiano, rallentando la formazione di grandi catene a vantaggio della proprietà frammentata».

Si è quindi generato un circolo vizioso, per la facilità d'accesso al credito, l'aumento dei valori immobiliari e la convenienza d'acquisto rispetto all'affitto, grazie alla diminuzione dei tassi d'interesse. Questo non ha favorito il miglioramento dell'offerta: si stima infatti che il 50% del parco ricettivo attuale richieda profonde opere di ristrutturazione, e il 90% interventi più leggeri.
Le piccole catene domestiche, secondo David, per crescere necessitano di sostegni almeno in tre aree: il coordinamento commerciale del sistema Paese, la fiscalità (sgravi e agevolazioni) e un'evoluzione del sistema bancario verso strumenti più moderni e flessibili di finanziamento.

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