Dieci anni in compagnia dell’euro

Dal 2001 a oggi i prezzi al consumo sono cresciuti del 21% e il potere d’acquisto delle famiglie è sceso del 7%. Tuttavia, a incidere direttamente sui rincari non è stata la moneta unica, ma la mancanza di concorrenza. Lo rivela una recente ricerca di Altroconsumo

Che l'euro abbia provocato un'impennata dei prezzi al consumo non è certo un mistero. L'ennesima prova arriva da una recente ricerca di Altroconsumo (consultabile su www.altroconsumo.it) che nero su bianco ha tracciato l'impatto della moneta unica europea dalla sua entrata in vigore dieci anni fa (2001-2011). Un periodo in cui a fronte di un aumento medio dei prezzi al consumo del 21% c'è stata un'evoluzione più lenta nella crescita dei redditi pro capite (+14%) e una conseguente riduzione del potere d'acquisto delle famiglie: -7%. Per quanto riguarda i consumi alimentari, a fronte di un aumento dei prezzi del 25%, la spesa è aumentata solo del 13%. Inversa la dinamica nel settore delle telecomunicazioni. Navigare sul web e telefonare è diventato meno costoso (-28%), ma la spesa è invece salita (+30%), poiché la quantità di ore passate al cellulare o su Internet è cresciuta.
Aumenti si sono registrati anche per bevande alcoliche e tabacchi (+53%), stabilimenti balneari (+61%) e istruzione secondaria superiore (+59%). Per non parlare dei premi Rc auto, che sono cresciuti a dismisura in città come Napoli (+122%) e Palermo (+77%). Anche colazioni e cene, secondo Altroconsumo, sono diventate sempre più salate con aumenti medi del 33% in bar e ristoranti con dinamiche, certo, differenti da città a città. Il caffè, ad esempio, è cresciuto più a Roma (+35,5%) e a Napoli (+31,2%) rispetto a Milano (+18,5%), Torino (+19,8%) e Bari (+15%) che invece ha registrato il rincaro maggiore per la pizza (+45,2%) seguita da Milano (+44%), Napoli (+23,7%), Roma (+20,2%) e Torino (+21%). Tuttavia, la vera notizia è che il passaggio alla nuova valuta non ha portato di per sé incrementi diretti. Secondo l'associazione infatti: «Su rincari di prezzi e tariffe hanno inciso più gli ostacoli alla concorrenza, l'inefficienza industriale e i freni alla distribuzione più moderna o all'offerta anche attraverso la rete». Un esempio per tutti è, come abbiamo visto, il settore delle telecomunicazioni o quei business dove si è deciso di aprire alla concorrenza scegliendo forme distributive alternative come nel caso dei prodotti farmaceutici, con un -28% rispetto ai prezzi del 2001. A proposito di rincari c'è da segnalare un altro recente studio di Altroconsumo che analizza il costo di una pausa pranzo a Milano (10 i bar monitorati). E anche in questo caso le sorprese non mancano: in centro, si può arrivare a pagare quasi 9 euro per un panino pomodoro e mozzarella, una lattina di Coca-Cola e un caffè. Tra gli item “sotto accusa” c'è la tazzina: solo in un bar costa ancora 80 centesimi. Negli altri casi costa 1 euro o 90 centesimi. E rispetto ai prezzi rilevati nel 2007, segnala l'associazione, i milanesi pagano il caffè circa il 10% in più. Rincari, occorre precisare, di cui la responsabilità è solo in parte attribuibile ai gestori.

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