Crea il menu perfetto per vendere

Bar University –

Come ottenere il massimo in termini di fatturato e profitti strutturando la proposta di cibi e bevande in una presentazione efficace

Di fronte alla domanda «A cosa servono i menu?», la maggior parte dei gestori di locali italiani risponderebbe: «A mostrare al cliente la propria offerta». Magari aggiungendo che fa un menu volutamente brutto per non correre il rischio che venga rubato. La risposta però è sbagliata: «Il vostro menu può essere un eccellente strumento di vendita» ha spiegato Oscar Cavallera, direttore di Bar University, nel corso del primo “Master in spillatura d'eccellenza”, tenutosi presso la sede di Celli Spa. E, per dimostrarlo, ha sistemato sul grande tavolo della nuova aula corsi una gran quantità di esempi, perlopiù di locali esteri, da cui i partecipanti hanno potuto prendere spunto.

Scegliere la regola giusta

Qualunque menu, ha spiegato Cavallera, deve essere fatto rispettando quelli che ha chiamato i 10 comandamenti della comunicazione: deve essere scritto in italiano, con una terminologia non tecnica, facile da consultare, sufficientemente esplicativo, ben leggibile, capace di stimolare il cliente e di dar spazio alle richieste, rappresentativo della proposta, onesto ed esposto in un ordine comprensibile. «Non si tratta di un elenco con un ordine di priorità già definito - ha specificato Cavallera -: ognuno deve ragionare e scegliere in modo consapevole quali sono per lui gli elementi più importanti dell'elenco, in funzione del tipo di locale e della propria personalità. Un menu prima di tutto onesto non è necessariamente meglio di un menu soprattutto stimolante: l'importante è che sia in linea con l'immagine del locale». Della serie: le formule di marketing, senza aggiunta di materia grigia (cioè intelligenza e ragionamento), servono a poco.
Un altro elemento chiave da decidere in fase di progettazione del menu è il criterio secondo il quale suddividere e organizzare le varie proposte. Molte le possibili opportunità: per parole chiave (spine, cocktail ecc.), per tempi di consumo (colazione, pranzo, aperitivo ecc.), per prezzo, per area geografica di provenienza, per tipologia (birre, whisky ecc.) o per feeling, basate sulle sensazioni che producono nel cliente. Ancora una volta, non esiste una regola fissa, ma la capacità di scegliere quella migliore per il proprio locale e di perseguirla in modo coerente.

La trappola dell'etichetta

Alla carta dei vini sono state dedicate alcune considerazioni specifiche. Mettendo in guardia i gestori da due “trappoloni”. Il primo è quello dell'ampiezza: non è necessario, ha spiegato Cavallera, offrire centinaia di etichette. È semmai più importante riuscire a raccontare in modo interessante e accattivante quello che si propone; lo si può far fare al menu o invece demandare al vostro racconto.
Far comandare l'etichetta - secondo Cavallera - è un errore. Il tipo di vino deve essere sempre più importante di chi lo produce. E chi è capace di scegliere un buon prodotto, anche di un produttore sconosciuto, e di raccontarlo al cliente potrà facilmente conquistare anche i consumatori più colti ed esigenti in fatto di bere.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome