Buoni pasto, l’utilizzo corretto e le prassi regolari

Strumento principe di pagamento nella pausa pranzo, il cosiddetto ticket ha regole precise di utilizzo che spesso vengono disattese: i rischi e gli svantaggi

Presente da tempo nella maggior parte dei bar aperti nell’orario del pranzo, il buono pasto permette ai lavoratori di consumare i pasti nell’intervallo di lavoro in esercizi pubblici come servizio sostitutivo della mensa aziendale.

Il buono pasto è un documento di legittimazione in forma cartacea o elettronica, che dà all’utilizzatore (il dipendente) un vantaggio fiscale rispetto al pagamento in denaro: è infatti esente da contributi e Irpef fino all’importo di 5,29 euro per giorno di lavoro per i buoni cartacei (7,00 euro per gli elettronici). Gli esercizi che possono stipulare la convenzione e somministrare i servizi sostitutivi di mensa sono:

1. esercizi autorizzati alla somministrazione di alimenti e bevande;

2. rosticcerie e gastronomie artigianali che vendono prodotti pronti per il consumo immediato;

3. esercizi di vendita di alimenti che vendono prodotti pronti per il consumo immediato.

I buoni pasto possono essere utilizzati durante le giornate lavorative solo dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori coordinati e continuativi, compresi gli amministratori. Non possono essere ceduti, commercializzati, cumulati, scambiati o convertiti in denaro e vanno utilizzati per l’intero valore facciale.

Quando il valore della somministrazione è inferiore al valore del buono, molti gestori battono uno scontrino per l’intero importo e rilasciano al cliente una ricevuta per acconto ricevuto, da scontarsi con successive somministrazioni: si tratta però di una prassi non corretta.

Il corretto utilizzo

I buoni pasto vanno firmati dall’utilizzatore e datati e timbrati dall’esercizio convenzionato. Ogni buono deve riportare:

• codice fiscale o ragione sociale del datore di lavoro;

• ragione sociale e codice fiscale della società di emissione;

• valore facciale in valuta corrente;

• termine temporale di utilizzo;

• spazio riservato all’apposizione di data utilizzo, firma dell’utilizzatore e timbro dell’esercizio convenzionato dove il buono pasto è utilizzato;

• dicitura «Il buono pasto non è cumulabile, né cedibile né commerciabile né convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dall’utilizzatore».

Il rapporto è trilaterale: l’azienda interessata si convenziona con la società emittente, riceve i buoni, provvede al pagamento dietro presentazione di regolare fattura (con Iva al 4% in quanto servizio sostitutivo di mensa) e li distribuisce ai dipendenti per l’utilizzo. Il prezzo fissato può essere diverso dal valore facciale del buono pasto per due motivi: primo, il valore indicato sul buono è comprensivo di Iva; secondo, la società emittente può concedere sconti all’azienda acquirente. I dipendenti usano i buoni nei pubblici esercizi, i quali fattureranno i servizi prestati e documentati dai ticket posseduti alla società emittente (Iva al 10% come somministrazione).

Gli scontrini emessi al ricevimento dei buono con l’indicazione “non pagati” non vanno annotati nel registro dei corrispettivi; si registrerà soltanto la fattura emessa alla società che ha rilasciato i buoni pasto. Anche per gli esercizi che non prestano servizi ma cessioni di beni (rosticcerie, gastronomie ecc.) tali prestazioni vanno considerate come servizi e assoggettate all’aliquota unica 10% (tabella, parte III, numero 121, Dpr 633/72), in quanto effettuate in virtù di contratti e da soggetti autorizzati ai servizi sostitutivi di mensa.

Il ricavo è costituito dall’importo del servizio reso, al netto di Iva e di sconti e abbuoni eventualmente concessi.

Per i soggetti in contabilità ordinaria, i ricavi e i relativi costi sono di competenza dell’esercizio in cui il servizio è prestato e ultimato. I ricavi di competenza non ancora rendicontati alla società emittente i buoni pasto (in pratica il valore dei buoni giacenti e ancora da fatturare, al netto di Iva e sconto) andranno appostati in un conto patrimoniale “clienti c/importi da rendicontare” o simile con contropartita i ricavi.

Per i soggetti in contabilità semplificata che adottano il criterio di cassa puro, i ricavi e i costi si considerano conseguiti alla data degli effettivi incassi e pagamenti. Se, invece, adottano il criterio di cassa per registrazione, vale la data di annotazione sui libri Iva.

Per tutti i soggetti in contabilità semplificata i buoni pasto giacenti e non ancora fatturati non hanno alcuna rilevanza fiscale.

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