Solo 4 metri quadrati per lavorare. solo 6 drink in carta alla settimana e solo un bollitore e
una piastra per cucinare. I segreti formato mini del bar moscovita già nei “The World’s 50 Best Bars” svelati dal nostro inviato Julian Biondi.

Una porta rossa con un campanello anonimo sul retro di un ristorante asiatico sulla Tverskaya, una delle arterie del centro di Mosca, si apre su un piccolo, grande locale che ad oggi resta il bar russo più apprezzato della classifica dei “The World’s 50 Best Bars”.
Chi scrive ha avuto l’onore di partecipare come guest bartender dietro il banco di questo cocktail bar che, al di là dell’esperienza che si può percepire da cliente, nasconde un mondo che vale davvero la pena scoprire.
Il giorno prima dell’evento conosco Roman Milostivy, un ragazzo che 5 anni fa insieme ad altri due soci apre i battenti di Chainaya, riprendendo la gestione di una sala da tè cinese aperta nel 2003. In questo momento è consulente esterno per la start-up di un nuovo bar: la cosa mi incuriosisce per cui gli domando come mai non lavora più nel suo stesso locale e la risposta è che “non c’è più posto per lui”. Dopo il primo anno di un Chainaya che tardava a decollare, si è improvvisamente trovato a lavorare da solo, con una sola persona in sala a supporto. Ha tirato avanti così per otto mesi, fino a che non ha trovato Konstantin (l’attuale bar manager) che lo ha affiancato. Quello stesso anno, senza alcuna aspettativa, è entrato nella classifica dei migliori bar al mondo e il giro di clientela è aumentato notevolmente. L’esperienza difficile di quei mesi lo ha aiutato a capire che il lavoro di squadra è fondamentale per funzionare al meglio, e oggi ha una team di 5 persone al quale non vuole rinunciare, il che ha fatto sì che lui stesso dovesse mettersi da parte per garantire il lavoro a tutti.

Mansioni a rotazione
Ogni sette giorni tutti cambiano mansione: una settimana barman, una bar-back, una in sala ed una alla “cerimonia del tè”, un rituale che si svolge in una saletta appartata in cui i clienti si rilassano e conversano con il cerimoniere, che spiega tra le varie cose il perché le pareti siano tappezzate di posizioni del kamasutra cinese, che sono molte più e molto più antiche di quello indiano. Il momento delle preparazioni giornaliere scorre tranquillo: ognuno sceglie un pezzo musicale, si scherza e si organizzano i vari ruoli. Arriva Katya con il suo skateboard e un sacchetto di spezie armene in mano, Alex intanto prepara la cena insieme al cuoco: un tè nero energizzante e riso con verdure. È sabato, quindi si parla anche di quali drink vorranno proporre per la settimana seguente. Viene dato più peso al parere di Kirill, che avrà il ruolo di barman dal lunedì che segue. Non ci sono protagonisti del banco; tutto è deciso insieme e il locale funziona come un organismo autonomo in cui ognuno apporta la propria personalità alla mansione che svolge di volta in volta. Saper fare tutto non è solo un vantaggio in termini gestionali per cui chiunque potrebbe essere d’aiuto in caso di imprevisti, ma è un modo per ricordarsi che il tempo e lo spazio che condividiamo con i colleghi è molto spesso maggiore di quello trascorso a casa, per cui la convivenza deve vedere lo stesso sforzo e partecipazione da parte di tutti.

Sfruttare lo spazio
Il bancone è costruito su una pagoda in legno dietro alla quale è posta la bottigliera che altro non è che un mobile antico cinese. L’ampiezza totale di questo spazio non supera i 4 mq il che implica un certo spirito di adattamento: al centro della pagoda il barman, che è sempre e solo uno, ha sotto di sé un pozzetto a due ante in cui trova bicchieri freddi e ghiaccio in tre tipi (cubetti, pilé e blocchi singoli).
Alla sua destra il primo bar-back, che interviene in caso di bisogno e passa le bottiglie. Alla sinistra l’altro, che lava le attrezzature e i bicchieri a mano. Non c’è una macchina del ghiaccio né una lavastoviglie, ci sono solo due frigoriferi domestici in cui conservare le preparazioni e il magazzino è un sottoscala di 3 mq. Stesso spazio è quello dedicato alla cucina da cui, sino alle due di notte, escono ben 12 specialità tradizionali cinesi con il solo aiuto di un bollitore e una piastra a induzione.
Il menu dei cocktail è essenziale: un solo foglio per 6 drink che variano di settimana in settimana e altrettanti signature, resi celebri dai clienti negli anni. In questa selezione si tiene conto di ogni tipo di gusto: dall’analcolico al bittersweet, dal tiki al sour.
Nonostante gli spazi minimi tutto funziona alla perfezione e il risultato è che chi va al Chainaya non ha semplicemente voglia di un buon drink o di un piatto di noodles, bensì cerca un ambiente in cui godere della piacevole atmosfera che aleggia nell’aria. Il motto del locale è “A bar is like a lighthouse for a soul in the storm” (Un bar è come un faro per un’anima in una tempesta) e incarna la versione sana e moderna della classica sala da oppio cinese, fuori dalla cui porticina rossa si muove una città frenetica.

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