Marco Poidomani: cocktail al caffè da campione

Barista e bartender, ha conquistato due volte il campionato italiano di Coffee in Good Spirits. Ed è pronto a far crescere dei nuovi campioni

Marco Poidomani
Barista e bartender, ha conquistato due volte il campionato italiano di Coffee in Good Spirits. Ed è pronto a far crescere dei nuovi campioni

Dopo quello vinto nel 2017 al Sigep, quest’anno, sempre all’interno del salone riminese, Marco Poidomani si è ripetuto, conquistando il campionato italiano di Coffee in Good Spirits organizzato da Sca Italy. La sua è stata una gara pulita, ma soprattutto dinamica e, per certi versi, affascinante. Ha preso per mano la giuria, incantandola con una narrazione spedita e mai noiosa, conquistandola con una coreografia azzeccata e con preparazioni studiate a regola d’arte.

Coppola in testa, ha dato il via alla prova partendo dalla sua terra, la Sicilia con tappa sull’Etna. Pertanto ha realizzato un drink caldo combinando in un bollitore, che raffigurava il vulcano siciliano, 10 ml di Scotch Whisky anKnoc, 8 ml di Liquore al Mandarino Amante e 10 ml di zucchero naturale di clementina. Dopo avere riscaldato il preparato a bagnomaria ha incendiato gli spirits per simulare un’eruzione e per abbassare il grado alcolico, quindi ha unito al mix lo specialty coffee di Little Bean Tasta, un Perù della regione di Llayla Satipo Junin. Un caffè naturale coltivato a 1.600 metri di altitudine con note di ananas, tamarindo, cioccolato e vinoso. La bevanda è stata quindi servita in bicchieri di pietra lavica.

Dopo cinque minuti, cambio d’abito e, con la colonna sonora di Star Trek in sottofondo, ha preso il via un vero e proprio viaggio verso il futuro. Precisamente nel 2039. Poidomani, trasformatosi in novello esploratore delle stelle, ha sorvolato il Brasile, da cui proviene la aluà, bevanda a base di ananas zenzero e muscovado, facendo sosta a Cuba per fare incetta di rum, il Black Tears e via, puntando verso lo spazio. In infusione in un thermos con 150 g di acqua a 90°C ha combinato 15 g del caffè della prima gara, raffreddato, versandolo sopra una sfera di metallo fredda raffigurante il mondo, 30 ml di aluà, 30 ml di rum, miscelati con la tecnica del throwing. Il cocktail è stato servito  ai giudici in due recipienti a forma di capasula spaziale.

Nel confronto post gara con i giudici, che giudizio ti hanno dato?
Ai giudici sono piaciuti il tema del viaggio e la narrazione, uniti alla tecnica: i drink sono stati molto graditi, anche se ho ricevuto dei piccoli consigli di cui farò tesoro. È stata una gara diversa dalle altre: i giudici mi hanno fatto sentire a mio agio, si mostravano interessati e, in particolare, il giudice tecnico mi ha detto di avere desiderato per tutta la gara di degustare i miei drink.

Ci racconti come sei arrivato alla mixology con il caffè e quali sono stati i tuoi esordi come bartender?
Ho cominciato a lavorare come bartender alla Dolceria Scivoletto di Modica (Ragusa), locale cliente di Caffè Moak. Un giorno il fondatore della torrefazione siciliana, Giovanni Spadola, mi chiese di aiutarlo a realizzare dei buoni espressi e a organizzare dei corsi da dedicare ai loro clienti. Ma, allora, non avevo delle buone basi, così mi sono rivolto ad Andrea Lattuada, che è stato il mio maestro per la parte tecnica e che, ancora oggi, è il mio coach (l’unico che riesce a gestirmi quando sono teso e nervoso per le competizioni). In torrefazione ho seguito tutte le fasi di tostatura e fatto molti assaggi. E, a poco a poco, il caffè mi ha conquistato. I corsi hanno preso così il via quasi per gioco e oggi il Moak People Training ha cinque sedi in Italia e quattro tra Germania, Malta, Stati Uniti e Grecia.

Cosa ti piace di Coffee in Good Spirits?
Per me è una delle competizioni più belle e complete; unisce la bravura del barista e quella del bartender in un mix particolare e molto creativo.

I tuoi consigli per chi vuole avvicinarsi alle bevande miscelate a base caffè?
Di appassionarsi e desiderare di crescere in entrambe le abilità. C’è chi pensa che sia facile, mi chiede una ricetta e si spaventa quando comprende cosa significa gareggiare. A chi si vuole davvero impegnare in questo campo, do la mia disponibilità. È un progetto ancora embrionale, che deve essere bene messo a fuoco, ma vorrei fare un tour per promuovere questa disciplina e dare dei riferimenti per chi desidera entrare nel mondo delle competizioni. Invito chi è interessato a farsi avanti e non avere paura: sono esperienze bellissime. E non bisogna avere timore delle sconfitte: sono arrivato sul gradino più alto del podio alla settima gara.

È meglio essere più esperti in caffè o in distillati e liquori?
In entrambi i campi. Sono categorie che sembrano distanti tra loro, ma non è così, soprattutto in Italia, dove il barista per lo più non è chi sta esclusivamente dietro la macchina espresso, ma conosce e sa servire le bevande alcoliche.

Quanta preparazione c’è stata dietro la tua ultima gara vinta al Sigep?
Almeno sei mesi. Con Andrea Lattuada ho messo a punto il progetto, individuato le bevande e lo specialty coffe, che lui ha tostato personalmente nella sua microroastery, Little Bean. Poi c’è stata la costruzione della gara e lo studio. Ho provato un po’ tutte le situazioni e visto che faccio spesso viaggi molto lunghi, approfitto dei voli in aereo per allenarmi. Ad esempio, la semifinale vinta in Musetti l’ho affinata durante un volo dal Venezuela: un’hostess si è incuriosita e ha seguito ogni fase, dandomi le sue opinioni. Per la finale, ho scambiato opinioni con i piloti di tutto il mondo, ma soprattutto ho curato i dettagli finali in 9Ba. Con me c’era anche Giacomo Vannellli.

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