Buoni pasto, regole più strette per le società emettitrici

Pagamento entro 30 giorni (allungabile massimo fino a 60) e stop ai servizi aggiuntivi non richiesti. Via libera alla cumulabilità e all'utilizzo in agriturismi e mercati

Possibilità di cumulo, allargamento agli esercizi commerciali dei soggetti autorizzati a riceverli, riduzione dei tempi di pagamento e interessi sui ritardati pagamenti: sono le principali novità (non tutte gradite agli esercenti) nelle norme sui buoni pasto introdotte dal decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 7 giugno 2017, n. 122 (attuazione dell’articolo 144, comma 5, del D.Lgs 18 aprile 2016, n. 50) ed entrate in vigore lo scorso 9 settembre. L’aspetto che più impatta sull’operatività consiste nel fatto che ora si possono utilizzare fino ad otto buoni pasto contemporaneamente e non uno solo come in precedenza. Molto spesso questa normativa era disattesa, ma adesso il cumulo può essere praticato nel rispetto della legge.

Il buono pasto, inoltre, diventa non più solo un servizio alternativo alla mensa ma anche un buono per fare la spesa di prodotti alimentari.

Nuovi destinatari

I buoni possono essere emessi, come in passato, in favore dei lavoratori dipendenti, sia a tempo pieno sia part-time, e di coloro che hanno un rapporto di collaborazione anche non subordinato, come per esempio gli amministratori di società. La possibilità sussiste anche nel caso in cui non sia prevista una pausa per il pasto.

I buoni - il cui valore è comprensivo dell’Iva prevista per le somministrazioni al pubblico di alimenti e bevande - possono essere spesi non solo presso i bar, le mense aziendali e i supermercati, ma anche (questa la novità) negli agriturismi, ittiturismi e nei mercati.

Come in  precedenza, dovranno essere utilizzati per l’intero valore facciale; non c’è quindi possibilità di avere il resto. Nella prassi è spesso utilizzato un comportamento non corretto quando, se il valore della somministrazione è inferiore al valore del buono, si batte uno scontrino per l’intero importo e si rilascia all’utilizzatore una ricevuta per acconto ricevuto da scontarsi dalle successive somministrazioni.

I buoni pasto devono riportare il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro, la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione, il valore facciale espresso in valuta corrente, il termine ultimo di utilizzo e uno spazio destinato all’indicazione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell’esercizio che ritira il buono. Obbligatoria anche la dicitura: «Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare».

Le medesime indicazioni saranno riportate anche sui buoni pasto emessi in forma elettronica attraverso un’associazione elettronica sul relativo carnet elettronico; il titolare del buono dovrà apporre la firma in via digitale al momento dell’utilizzo.

Termini più favorevoli

Condizioni più strette per le società emettitrici. Queste ultime dovranno liquidare gli esercizi convenzionati entro 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura, contro i 45 fissati in precedenza. Può essere pattuito nell’accordo un termine superiore, non oltre i 60 giorni. I ritardi nei pagamenti dovranno comunque essere assoggettati agli interessi di mora (ora 8%); la clausola che ne escluda l’applicazione è da considerarsi nulla.

Inoltre viene stabilito che non può essere negato ai titolari di esercizi convenzionati il pagamento almeno parziale di fatture relative ai buoni pasto presentati a rimborso a fronte di contestazioni parziali, di quantità o valore, relative alla fatturazione dei medesimi.

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