“Restiamo i trend setter del bere moderno”

Biscaldi –

Fare di un prodotto qualcosa di speciale è il loro lavoro. E in quarant’anni di attività ci hanno sempre visto giusto. Pietro Biscaldi racconta la storia della sua azienda e annuncia il boom di un energy drink

Siamo a Genova Voltri, quartier generale della Biscaldi, società di importazione e distribuzione che quest’anno festeggia i suoi primi quarant’anni d’attività. In questi uffici di fronte al golfo di Genova sono passati marchi che hanno fatto la storia del beverage di tendenza in Italia, creato mode e appassionato migliaia di consumatori. Qualche nome? Corona Extra, Red Bull, Ty Nant, Asahi e tanti altri. Un successo che sa di passione e di amore per il proprio lavoro che ha portato la Biscaldi a muoversi ai quattro angoli del pianeta alla ricerca di “cavalli di razza” da far correre sul mercato nazionale. «Una sfida che mio padre Luigi raccoglie nel 1969 - spiega Pietro Biscaldi, amministratore delegato del gruppo genovese - partendo dall’importazione dei whisky di puro malto dalla Scozia, delle vodke dall’est europeo, dei brandy spagnoli, dei bourbon americani e, ovviamente delle prime birre tedesche. La prima è la Dressler Brauerei di Brema a cui segue, nel 1973, la Holsten di Amburgo. Negli anni Settanta la crisi mondiale del petrolio e l’aumento delle tasse d’importazione, ci porta a riconsiderare nel nostro portagoglio prodotti italiani, vini regionali soprattutto, e grazie alla fiducia accordataci da grandi cantine riusciamo a superare le criticità di quel periodo. È in quegli anni, siamo a metà dei Settanta, che, grazie ai contatti che mio padre intreccia con il gruppo Holsten, che comincio a girare per la Germania a caccia di specialità di nicchia da importare e che consegno personalmente con il mio furgone alle prime birrerie che fanno capolino in Italia. Anche attraverso contatti con piccoli distributori, riusciamo a mettere in piedi un ricco portafoglio di birre estere che a guardar bene hanno fatto la storia della cultura birraria in Italia come la belga Chimay, prodotto su cui allora nessuno avrebbe scommesso un centesimo, scoperta per caso impolverata in un magazzino romagnolo, o la Fischer Gold con il famoso tappo a macchinetta, nata da un’intuizione geniale di mio padre.

Gli anni successivi sono quelli del fenomento Corona e del consolidamento del vostro primato di talent scout di grandi marchi.

Sì, veniamo riconosciuti come i trend setter del bere di tendenza grazie anche al marchio ombrello “Le Dive di Biscaldi”. Ma sono anche gli anni delle prime amarezze e delle grandi scelte. Perdiamo la distribuzione di alcuni importanti marchi birrari e decidiamo di guardare fuori dall’Europa, oltreoceano. E, siamo nel 1989, quando entriamo in contatto con il Grupo Modelo per la distribuzione della birra Corona, un marchio allora sconosciuto in Europa. Cominciano una grande collaborazione: ci impegnamo a vendere 15mila casse e, già al terzo anno, raggiungiamo la quota record di 840mila casse. Per chiudere l’ultimo anno del nostro rapporto con il gruppo messicano, il 2007, con un milione e 650mila casse più una stima di circa 600mila casse di mercato parallelo. Corona ha letteralmente cambiato la vita della nostra azienda: è stata la birra d’importazione con la più alta quota distributiva del mercato italiano con una ponderata superiore al 94%. In quegli anni, siamo nei Novanta, si aggiunge l’acquisizione della società gallese Ty Nant Spring Water e la scoperta di nuove chicche come la birra venezuelana Polar, le bevande Snapple, l’energy Red Bull. Scoperte, putroppo, non tutte andate a buon fine.

Nel 2007, il divorzio con il Grupo Modelo.

Sì, il nuovo top management del gruppo messicano interrompe l’accordo con noi e Corona passa a Carlsberg, questo nonostante un ricco piano di sviluppo per il 2008 già concordato nell’estate 2007. A ripensarci oggi la situazione ha un che di surreale: eravamo i primi per volumi in Europa continentale e proprio l’anno della separazione la nostra forza vendita aveva segnato un surplus del 58% nei primi 5 mesi, ricevendo direttamente dalla filiale europea un premio per gli ottimi risultati raggiunti. Contavamo di arrivare nel giro di un anno a importare 2 milioni di casse e avevamo già messo a budget 4 milioni e 200mila euro in attività di comunicazione e promozionali. Di colpo abbiamo perso oltre il 90% del nostro fatturato.

Come avete reagito?

Abbiamo continuato a lavorare, come sempre. D’altronde, grazie ai successi degli anni precedenti, avevamo solide basi finanziarie: tanto che l’anno successivo la perdita di Corona abbiamo registrato un utile di oltre un milione di euro. Ci siamo, dunque, rimboccati le maniche e riconsolidato il nostro portafoglio con la prestigiosa acquisizione di Miller Genuine Draft, marchio premium del gruppo SAB Miller, con volumi che sono cresciuti, già al secondo anno di distribuzione, di oltre il 50%. Eguale successo per Budejovicky Budvar, lager ceca Igp, che in due anni ha raddoppiato le vendite.

Ma il colpo grosso sarà Monster?

Questo energy drink americano debutta in Europa con 15 milioni di euro di investimenti e un programma di sampling che solo in Italia “colpirà” 250mila consumatori. Negli Usa è il numero uno e ha registrato performance nettamente superiori alla media di mercato. Noi contiamo solo il primo anno di realizzare con Monster un giro d’affari di oltre 5 miloni di euro. E, dopo Monster, seguiranno altri importanti lanci, primo fra tutti AriZona Ice Tea, già a settembre 2009. Oggi possiamo dirlo, Corona è ormai un lontano ricordo.

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