Non appiattite il caffè

Momenti di consumo –

L’espresso trangugiato in fretta al banco segna il passo. Per rivitalizzare la caffetteria occorre distinguersi: dalla scelta delle miscele sino agli arredi e ai servizi proposti

Una delle tante cose su cui gli italiani sanno ridere di se stessi è l’infinita varietà di modi con cui consumano il caffè: la tazzina “normale”, o “liscia”, lungi dall’essere divenuta una rarità, è ormai sempre più affiancata dalle mille versioni di corretti, macchiati, marocchini, montecarlo, cappuccini o cappucci con cacao, cannella e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare degli elaborati a base di caffè, che sono diventati anche motivo ispiratore di format di locali specializzati, in franchising o a marchio. I locali che puntano sul servizio di un caffè speciale e di alta qualità sono gli unici a dimostrarsi in crescita in un segmento, quello dell’espresso e derivati appunto, che da qualche tempo fa registrare un continuo calo di consumi. Ma l’emorragia dovrebbe presto fermarsi. Ravvede infatti i segni di un rallentamento Matteo Figura, responsabile Foodservice di Npd.

Impatto psicologico

Del resto, l’effetto “negativo” del vending sul business dell’espresso nei bar si è già fatto sentire a partire dallo scorso decennio. Il mercato della pausa caffè in ufficio è ormai massicciamente presidiato dalle macchinette, che sfruttano anche quello che è un beneficio inconscio della tazzina in compagnia, ben interpretato anche da programmi tv come “Camera Cafè”. Un recente studio condotto in Danimarca dalla ricercatrice Pernille Strøbaek del dipartimento di Psicologia dell’Università di Copenaghen ha, infatti, rilevato come rompere un attimo il ritmo di lavoro per godersi un caffè con i colleghi abbia anche ricadute positive su produttività e lavoro. Del fatto che una buona dose di psicologia e di istintività pesino sul consumo del caffè è convinto anche Carlo Meo, esperto di marketing e docente del Poli.Design, consorzio del Politecnico di Milano. «Una delle tante ragioni del successo mondiale di Starbucks, la catena americana di coffee shop - dice Meo-, sta nell’attenta cura a non produrre odori che coprano quello del caffè. Non ci sono quindi forni, piastre o altri prodotti che si sovrappongono al caffè. Unita al fatto che tutto nel locale è studiato per far stazionare il cliente, dagli arredi comodi al wi-fi gratuito, questa prerogativa induce le persone a scegliere Starbucks come luogo in cui, oltre al caffè e ai prodotti collaterali, hanno diritto anche a uno spazio piacevole».

Caffetteria tradizionale

Non si tratta di un aspetto secondario: molti locali costringono il consumatore a uscire per gli odori troppo forti di bruciato o di cibo, che restano addosso, mentre l’aroma del caffè è considerato corroborante e piacevole. Una delle prime attenzioni di chi vuole spingere il caffè è, quindi, quella di farne sentire il profumo nel locale o, tutt’al più, di creare spazi comodi e fruibili in un ambiente senza odori.
Al di là della qualità della miscela offerta, un “must” che nessun bar dovrebbe trascurare, ci sono poi altre ricette da seguire per incrementare il consumo del caffè. Meo individua due linee d’azione. «Da una parte - dice - si assiste al successo delle caffetterie storiche e tradizionali, a livello locale, nei centri delle grandi città ma anche in località più piccole, che decidono di rinnovarsi perseguendo la qualità. Risultano vincenti, in questo caso, innovazioni come l’acquisto di una macchina per il caffè a pistoni, magari da affiancare a quella tradizionale, l’aumento del numero delle miscele proposte, con una ricerca particolare per la qualità».

Catene da ristudiare

Diverso invece il discorso per le catene, soprattutto in franchising, che finora in Italia non hanno dato performance particolarmente positive, nonostante l’impegno e gli investimenti anche di grandi gruppi. «Abbiamo assistito alla comparsa - dice Meo - di molti caffè ricettati, anche firmati da grandi nomi, che in realtà, pur muovendo il fatturato complessivo dei gruppi, non hanno fatto finora particolare breccia nel mercato». Il problema però è da ricercarsi nell’eccessiva standardizzazione della caffetteria o del negozio in franchising, che in Italia risponde ancora troppo al concetto di uniformità. «In questo modo - sottolinea Meo - tutti i locali sembrano uno uguale all’altro. All’estero ci si è accorti del problema e si sta modificando questa tendenza. Catene di successo come Starbucks o Costa stanno affidando a designer e architetti sempre diversi gli allestimenti dei loro punti vendita nel mondo». In altre parole, in centri cittadini che sembrano uguali l’uno all’altro, con gli stessi marchi di negozi che si ripetono ovunque, avere locali che si distinguono può costituire un vantaggio strategico, a partire dagli arredi per arrivare a miscele selezionate.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome