Cocktail frizzanti: le giuste mosse per un drink a tutto gas

Al momento sono ancora poco richiesti, ma non certo perché non piacciano. Il fatto è che i cocktail in versione gassata sono ancora pochissimo conosciuti dal pubblico che in Italia li può trovare soltanto in pochi selezionati locali, opera in genere della creatività dei bartender più innovativi.

Tra questi Dario Comini, che nel suo Nottingham Forest di Milano li propone da almeno una ventina d’anni. Insieme, ad esempio, ad Ariel Leizgold, che a Tel Aviv detta le tendenze della mixology israeliana nel suo 223, Comini è stato protagonista lo scorso 14 aprile di un workshop, organizzato dalla Campari Academy, sul futuro dei cocktail gassati, che potrebbero conoscere un vero e proprio boom in tempi brevi.

«I cocktail frizzanti piacciono - dice il bartender milanese - perché conferiscono sapori diversi ai drink classici, dal Negroni alla famiglia dei cocktail Martini. E perché grazie alla carbonatazione, cioè il processo di aggiunta di andride carbonica alimentare, danno un senso di freschezza che contrasta con il secco dell’alcol, rendendo più “beverino” il cocktail e allargandone il gradimento anche a quella fascia di pubblico che magari non apprezza particolarmente i superalcolici. Inoltre, modifica la texture dei cocktail, favorendo lo sprigionarsi dei profumi».

Strumenti classici

Il problema è che, almeno finora, la loro preparazione si è sempre rivelata abbastanza laboriosa per il bartender, che ha avuto a disposizione essenzialmente due strumenti: lo shaker carbonatore e il classico sifone da seltz.

«Il primo - dice Comini - si può aprire durante la preparazione e consente l’aggiunta di aromi, come scorze di agrumi, spezie, altri ingredienti solidi, oltre al ghiaccio, naturalmente. Il sifone classico ha qualche limitazione in più, perché consente di lavorare soltanto il prodotto puro, liquido, senza aggiunta di ingredienti o succhi di frutta i cui residui potrebbero intasare il condotto di uscita».

Del resto il sifone è uno strumento storico. «Già nel secondo dopoguerra - osserva Comini - marchi come Campari e Zucca ne indicavano l’utilizzo per trattare direttamente il bitter e non solo per produrre la soda».

Strumenti innovativi

Ora, a questi oggetti classici per il bartender si stanno affiancando nuovi strumenti, che sfruttano un mix di tecnologie classiche e innovative per consentire la produzione anche in quantità di cocktail alcolici gassati. Sifone e shaker carbonatore, in effetti, non soltanto hanno una capacità limitata, ma richiedono continue ricariche di anidride carbonica attraverso le classiche cartucce.

Assai più comodo sarebbe invece uno strumento in grado di usare le bombole di anidride carbonica impiegate normalmente anche in ambito domestico per rendere frizzante l’acqua del rubinetto, che consentono di trattare da 60 a 100 litri di liquido con un costo di circa 12-13 euro.

La prova sui prototipi

«Durante il workshop alla Campari Academy - commenta Comini - abbiamo testato il prototipo di un nuovo strumento che usa proprio questo sistema e integra un tablet con un ricco ricettario che consente ogni tipo di preparazione. Tra le sue particolarità, per esempio, quella di gassare drink già gassati, per potenziarne l’effetto. Con uno strumento del genere è anche più facile prepararsi la propria acqua tonica o la ginger-beer o, ancora rigenerare cocktail che hanno perso il gas in seguito all’aggiunta progressiva di liquore, come avviene per esempio con il Cuba Libre».

Gasare i solidi

Il bartender creativo può poi pensare di rendere “frizzanti” anche ingredienti solidi, come la frutta per esempio: uva, fette di limone, mandarini cinesi, kiwi, arancia. «Per farlo - spiega ancora Comini - basta usare un sifone da panna (con il beccuccio rivolto verso l’alto e non verso il basso come nel sifone da soda): vi si introducono all’interno i pezzi di frutta che si vogliono trattare, si inseriscono le cariche di anidride carbonica e poi si lascia il tutto in frigo per due o tre ore. Dopo di che si fa sfiatare l’anidride carbonica mantenendo il sifone verticale e, quando questa si è dispersa, si estrae la frutta così trattata che può essere usata come guarnizione del drink.

I classici del genere

Per quali preparazioni si può usare la tecnica della carbonatazione? Il limite, come sempre, è solamente la fantasia del bartender, ma in ogni caso Comini qualche consiglio ce l’ha.

«Il primo sparkling cocktail che ho preparato, e che anche oggi continua ad essere un classico nella mia drink list, risale ad almeno vent’anni fa: è il Pink Gin Carbonico. Si basa sulla ricetta classica del Pink Gin, a base di gin, angostura, scorza di limone, che viene preparato in autoclave a 8 atmosfere e poi lasciato in freezer a -18°C».

Il trattamento termico fa sì che le molecole di gas rimangano intrappolate in quelle del drink, dando al palato una sensazione di piacevole pizzicore.

Se però il drink si riscalda i legami tra le molecole si allentano e l’anidride carbonica tende a liberarsi, facendo perdere l’effetto frizzante.

Serve il bicchiere giusto

«Proprio per questo motivo - aggiunge il patron del Nottingham Forest di Milano - serviamo questo cocktail in un bicchiere a doppia parete, che ci garantisce un effetto d‘isolamento termico che mantiene costante la temperatura per tutto il tempo necessario alla consumazione». Per quanto riguarda invece i drink classici, quello che si presta meglio alla carbonatazione è il classico Negroni. «È molto richiesto dal nostro pubblico - conclude Dario Comini - e si trasforma letteralmente dopo il trattamento con l’anidride carbonica, assumendo una consistenza, un aroma e dei profumi assolutamente differenti dall’originale e in ogni caso particolarmente gradevoli».

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