Le etichette dovranno indicare l’origine dei prodotti alimentari

Made in –

Anche la comunicazione commerciale dovrà tenere conto della nuova normativa approvata dalla Commissione Agricoltura della Camera

L'agroalimentare di qualità può festeggiare: dopo oltre dieci anni di attesa, la Commissione Agricoltura della Camera ha finalmente approvato in via definitiva la legge sull'etichettatura dei prodotti alimentari. La normativa servirà anche a evitare il ripetersi di casi come quello recente delle uova e carne di maiale alla diossina importate dalla Germania. L'articolo centrale della legge è il numero 4 sull'etichettatura dei prodotti alimentari. Vi si prevede che, al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari (commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati) nonché per rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi, sia obbligatorio riportare l'indicazione del luogo di origine o di provenienza e, in conformità alla normativa dell'Unione europea, dell'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di Ogm. Per i prodotti non trasformati il luogo d'origine riguarda il paese di produzione. Per quelli trasformati dovranno essere indicati il luogo dove è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione o allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata.

Addio alla pubblicità ingannevole
Il testo prevede inoltre che l'origine degli alimenti dovrà essere prevista obbligatoriamente in etichetta e non potrà essere omessa anche nella comunicazione commerciale, per non indurre in errore il consumatore. Insomma niente più pubblicità di succhi di arancia con le immagini della Sicilia se in realtà viene utilizzato quello proveniente dal Brasile, come spesso avviene. «L'approvazione della legge pone fine a un grave inganno nei confronti dei produttori italiani e dei consumatori che attribuiscono grande importanza alla provenienza degli alimenti: per quasi un italiano su quattro (23%) il cibo italiano dal campo alla tavola vale almeno il doppio con due italiani su tre (65%) che sono disponibili a pagare dal 10% in su, secondo l'indagine Coldiretti-Swg», evidenzia un comunicato dell'associazione degli agricoltori.

Un terzo del made in Italy è fasullo
Secondo Coldiretti, infatti, circa un terzo (33%) della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, per un valore di 51 miliardi di euro di fatturato, derivava sino ad oggi da materie prime importate, poi trasformate e vendute con il marchio made in Italy, in quanto la legislazione lo consentiva, nonostante potessero provenire da qualsiasi area del pianeta. Ad esempio gli inganni del finto made in Italy sugli scaffali riguardavano due prosciutti venduti su tre, in realtà provenienti da maiali allevati all'estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano e la metà delle mozzarelle, spesso fatte con latte o addirittura cagliate straniere. Fino ad ora gli unici prodotti per cui era obbligatoria l’etichetta di provenienza erano infatti soltanto la carne bovina, la carne di pollo, la passata di pomodoro, le uova, il latte fresco, l’olio extra vergine di oliva e il miele, come stabilito dalla direttiva 2000/13/CE.

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