La vitivinicoltura italiana si scopre biologica

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Con quasi 38mila ettari di vigneti bio il nostro Paese si colloca al vertice della produzione europea

Un giro di affari mondiale che nel 2007 ha raggiunto i 40 miliardi di dollari, pari a circa 31 miliardi di euro. Con previsioni che parlano di un trend positivo che, tempo altri due anni, porterà il mercato dei prodotti biologici a sfiorare i 60 miliardi di dollari. Cifre da capogiro, rese pubbliche in occasione di BioFach 2008, il salone mondiale del biologico tenutosi a fine febbraio a Norimberga, in Germania. Una fiera che, unitamente a vari incontri dedicati al tema tenutisi allo scorso Vinitaly, ha offerto l'occasione per fare il punto anche su uno dei comparti più promettenti del settore del biologico bio, ovvero quello del vino. In Europa solo il 4% dei viticoltori produce uva biologica. Una percentuale apparentemente esigua, ma che in realtà nasconde percentuali in forte sviluppo. E, per una volta, è proprio l'Italia a fare da traino alla coltivazione bio in vigneto nel Vecchio Continente, con oltre 10mila aziende che coltivano in tutto 37.693 ettari di vigneti biologici (di questi però circa 12 mila sono in conversione, dati Sinab). Di sicuro c'è che il vigneto biologico italiano si concentra soprattutto nel centro-sud, in Sicilia, Abruzzo e Toscana, in particolare. Difficile, però capire quante siano le cantine che vinificano uve bio. Stime parlano di circa 350 unità, delle quali pochissime di grandi dimensioni. Tra queste la franciacortina Barone Pizzini che oggi produce in modo bio tutti i suoi spumanti e ha da poco inaugurato una cantina realizzata secondo i dettami della bioarchitettura. In ogni caso, un utile strumento per conoscere i vini bio è la Guida ai vini d'Italia bio 2008 di Pierpaolo Rastelli che ha degustato e raccontato 592 vini provenienti da 157 cantine.

L'uva è bio ma il vino non ancora
A differenza di altre realtà come quella statunitense (dove anche Wine Spectator si è accorta del bio dedicando al comparto una copertina che titolava Il vino va verso il verde), l'Unione europea non ha ancora una normativa che disciplina, oltre alla produzione di uve biologiche, anche il processo di vinificazione. Non è un caso che in Italia non si possa parlare di “vino biologico”, bensì di “vino da uve provenienti da agricoltura biologica”. Insomma, è il metodo di coltivazione delle uve a essere bio, non il vino. Vuol dire, in vigneto, la messa al bando di prodotti di sintesi chimica, come concimi, fitofarmaci e diserbanti, e naturalmente degli Ogm, gli organismi geneticamente modificati che con il biologico proprio non vanno in armonia. Ma il problema, sorge in cantina, dove si possono (e spesso succede) adottare le normali pratiche di vinificazione, peraltro legittime e del tutto consentite dalla legge e dal buon senso produttivo. Tra queste, l'impiego di conservanti come l'anidride solforosa (che in piccole quantità non è dannosa per la salute mentre serve ai vini ) e di additivi come i lieviti che favoriscono la fermentazione del mosto e senza i quali le caratteristiche dei vini peggiorerebbero sensibilmente. Proprio per colmare questo vuoto normativo, l'Unione Europea ha finanziato il progetto Orwine che ha lo scopo di definire entro il 2009 un disciplinare sul vino biologico condiviso a livello comunitario comprendente anche la vinificazione.
 
La tecnica biodinamica

Il discorso si fa più complicato quando si parla di vino da uve provenienti da agricoltura biodinamica. In questo caso ogni pratica, dalla vigna alla cantina, è dettata dal più assiduo rispetto della natura e del suo precario equilibrio. Vediamone qualche assunto. Le piante vengono trattate con preparati naturali omeopatici, come gli infusi alle erbe, e particolari specie di insetti sono i fedeli alleati del contadino nella lotta ai parassiti. Il terreno viene concimato solo con il letame e aratro ancora con le bestie, senza l'ausilio del trattore. La vinificazione avviene seguendo le fasi lunari e l'uva fermenta solo grazie ai lieviti naturali che si trovano sulla patina della buccia dei acini, la cosiddetta pruina. Assolutamente bandito l'impiego di anidride solforosa in aggiunta a quella esistente in natura e di tutti gli altri additivi chimici. Ne nasce un vino genuino, mai uguale a se stesso, e che ha tipicità da vendere, essendo la perfetta espressione del terroir e dell'andamento climatico dell'annata. Un vino che, se madre natura è stata generosa e l'enologo ha svolto bene il proprio dovere, può senza dubbio essere anche più buono di uno “normale”. Resta, tuttavia, l'opinione diffusa che un simile metodo di produzione, così radicale e onnicomprensivo, sia praticabile in piccole realtà, mentre sia decisamente più complicato da adottare su vasta scala. Basti pensare agli elevati costi della manodopera che esso comporterebbe.

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