Insostituibile jigger

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In alcuni Paesi l’uso del misurino è obbligatorio per garantire al cliente una dose certificata di prodotto. In Italia sta tornando finalmente di moda

La mixology si arricchisce di suggestioni quando si corre a ritroso nella storia fino a scoprire le origini della professione di bartender. Leggendo documenti che risalgono alla prima metà dell'Ottocento si scopre quanto già avanzata fosse l'arte dei cocktail e quanto assomigliasse a una vera e propria scienza: dosi esatte e finemente calibrate dei vari ingredienti rendevano i drink ripetibili ovunque secondo la loro ricetta originale.
Perché l'alchimia di un cocktail potesse ripetersi pressoché costante in ogni angolo del mondo, al di là del tocco personale del professionista, occorreva quindi uno strumento di misura che consentisse di calibrare le dosi in modo sempre identico. Questo strumento è il jigger, ancora oggi fido alleato del vero bartender.
«Lo jigger - spiega Lucio Tucci, bartender professionista ed esperto in materia - sta tornando a essere un oggetto indispensabile per il bartender, perfino obbligatorio in alcuni Paesi del mondo per garantire al cliente una dose certificata di prodotto. Negli scorsi decenni se ne è parlato poco, ed è stato scarsamente citato da alcuni maestri nei loro ricettari. Ma ciò non toglie che il suo uso risalga agli albori della professione».
In effetti ancora molti dibattiti sono aperti su questo strumento. Il primo,il più fondamentale di tutti, riguarda la sua capacità. La maggior parte delle fonti storiche, ricettari usciti negli Usa tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, parlano di 1 oncia fluida e mezza, che corrispondono grosso modo a 4,4 centilitri (cioè il bicchierino da whisky). Altre fonti parlano di 2 once fluide. Oggi in commercio esistono diverse varianti di jigger graduati che consentono diversi dosaggi, da 1 a 1,5 a 2 once fluide. Ne esistono anche modelli con le misure in centilitri.

Dibattiti aperti

Un'altra questione interessante è l'etimologia. «In alcune vecchie fonti - osserva Tucci - si trova anche la grafia “gigger”, con la prima consonante modificata». È però invalsa ai giorni nostri la denominazione “jigger” con la “j”, che in effetti è anche più evocativa: “jig” è un'antica danza, ma è anche il termine con cui, ai tempi del Proibizionismo, si definivano le distillerie clandestine da cui, probabilmente, la vera origine del termine. Con la stessa parola, negli stati del Sud degli Usa, si definisce anche una piccola mosca della fascia tropicale, estremamente fastidiosa. Potrebbe essere questa l'origine del termine, forse legata alle ridotte dimensioni del misurino? Quale che sia l'etimo, di sicuro l'oggetto nacque da una prassi e dalla necessità per i bartender di avere un riferimento di misura per le loro creazioni. Tucci riporta la versione secondo cui «fu Antoine Amédée Peychaud, farmacista e creatore del Sazerac, bitter di gran moda negli anni Trenta dell'Ottocento. Fedele alle sue origini di farmacista, Peychaud aveva un dosaggio ben preciso per la sua creazione a base di brandy, cui aggiungeva il bitter secondo la dose di un portauovo (in francese “coquetier” da cui forse, secondo la pronuncia storpiata dagli americani, l'origine del termine cocktail)». Insomma, il jigger sarebbe proprio all'orgine della mixology. Del resto, risale al 5 settembre 1893 il brevetto del jigger depositato a Chicago. E se qualcuno, nella terra del business, ha sentito la necessità di proteggere l'idea di un oggetto del genere, vuol ben dire che se ne faceva largo uso.

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