Elogio del shochu, distillato giapponese

Spirit –

Derivato dalla distillazione di patate dolci, orzo, riso o sesamo, il shochu ha preso il sopravvento sul più famoso sake. Piace il gusto assai caratterizzato e l’alcolicità ridotta.

En Shochu a New York, il ristorante-lounge Shochu a Chicago e Shochu Lounge a Londra. Locali con un unico denominatore comune: rendono omaggio tutti all’omonimo distillato giapponese che negli ultimi tempi raccoglie i più ampi consensi. «Abbiamo faticato non poco a trovare distributori e importatori - osserva Lynn Wallack del Shochu, e aggiunge - ma oggi tutto è più facile perché sempre più consumatori richiedono il shochu. Gli occidentali lo paragonano alla vodka, pur con tante differenze. È meno alcolico e con evidenti aromi primari».

Risultati di vendita migliori del sake
«Sempre più shochu e sempre meno sake», esordisce Monica Samuels di Southern Wine & Spirits di New York ed ex sommelier del sake per Sushi Samba, la catena di ristoranti giapponesi-brasiliani-peruviani (a New York, Miami, Chicago, Dallas e Tel Aviv) ed aggiunge: «Si presta meglio alla vita notturna; ma solo di recente i giapponesi hanno iniziato a considerarlo rispettabile e trendy, grazie proprio ai shochu più pregiati. Tradizionalmente era la bevanda dei poveri e anni addietro era considerato uno spirit per anziani». L’origine esatta del shochu è sconosciuta, ma il primo documento che lo cita fu trovato nell’isola di Kyushu, nel sedicesimo secolo. Si pensa che la distillazione sia arrivata lì via Tailandia, dove altri dicono giunse dalla Cina, attraverso la Corea. Ancora oggi il shochu è prodotto in tutto il Giappone; ma in particolare nell’isola di Kyushu, la più meridionale. Nella prefettura di Kagoshima, a Kyushu, niente sake o altre bevande alcoliche, solo shochu. A differenza del sake, che molti ritengono adatto al cibo, è più indicato per cocktail o drink dopo-pasto. Così a Las Vegas, Luigi Albergnanti, sommelier di sake e shochu al Shibuya, all’Mgm Grand Hotel & Casino, spiega: «Tra i cocktail più richiesti c’è il Raspberry Shizuku, con lamponi freschi, shochu e succo di limone, servito in una coppa Martini».
Un’infinita gamma di aromi
Il ristorante En Japanese Brasserie, nel West Village di Manhattan, ha un piccolo shochu bar, l’En Shochu. Takahiro Okada, manager del settore bevande, nota: «Quand’ero bambino la gente non voleva bere il shochu da patate dolci perché il profumo e il gusto erano troppo forti; mentre apprezzavano quello d’orzo; ora invece la patata dolce trionfa!». Tra le marche preferite: Satoh (da patata dolce), da un piccolo produttore di Kagoshima, dove il clima caldo e il suolo vulcanico ben si prestano alla coltivazione (10$ a bicchiere); il delicato “Gankutsu Oh” (da riso) da Kumamoto (9$); il “Beni Otome” (da sesamo) da Fukuoka (6$), ideale per cocktail.

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