Cuochi moderni, professionisti sotto le luci della ribalta

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Sempre più spesso il grande chef esce dalla cucina per convegni e dimostrazioni. Una svolta impensabile fino a poco fa, che produce reddito e immagine, ma anche problemi

Tutto è cominciato nove anni fa, quando Rafael Garcia Santos si è inventato Lo mejor de la gastronomia, meeting che ogni autunno porta sulle sponde basche dell'Atlantico, a San Sebastián, il meglio della cucina di innovazione del mondo (lomejordelagastronomia.com). Più che un congresso una griffe, lo Mejor, che per Paolo Marchi «sta alla cucina di qualità come Cannes, con il suo festival, al cinema e Francoforte, con la sua fiera, al libro». Una vera macchina da guerra, che per ciascuno dei 4 giorni del simposio raccoglie a Palacio Kursaal circa duemila tra giornalisti, cuochi, gourmet e addetti ai lavori. In più, si possono quantificare almeno altrettanti curiosi o spettatori occasionali, che gravitano attorno alle iniziative collaterali per almeno mezza giornata. Il conto è semplice: nell'arco di nove anni lo Major ha potuto contare su non meno di centomila visitatori, fra “professionali” e non. Numeri importanti, che gli sponsor conoscono bene.

Una media di due convegni al giorno

Da quel giorno di nove anni fa, è stato tutto un fiorire di appuntamenti internazionali, in genere meno frequentati, ma non per questo meno graditi da pubblico e addetti ai lavori. La cucina spettacolo tira e oggi anche i nostri chef battono l'Italia e il mondo dodici mesi l'anno, alla ricerca di idee, confronti, consacrazione. Sul palcoscenico dei congressi come in televisione, va per la maggiore il cuoco mediatico, a suo agio sia tra i fornelli, sia sotto i riflettori. Oggi nel mondo esistono migliaia di congressi dedicati alla cucina - solo in Italia ormai si prosegue al ritmo di 2-3 al mese -, ma i convegni d'autore “di tendenza”, capaci cioè di orientare le scelte e di individuare le priorità, sono in tutto meno di una decina, a partire naturalmente da Lo Mejor: Omnivore (Le Havre), Madrid Fusion, Bcn Vanguardia (Barcellona), Identità Golose (Milano), World Gourmet Summit (Singapore); in Italia, consensi importanti stanno riscuotendo Alpe Adria Cooking (Udine) e Gusto in scena, che ha esordito quest'anno (Venezia).
Lo Mejor ha fatto scuola anche per quanto riguarda le logiche organizzative: in media ogni congresso dura tre o quattro giorni, ciascuno dei quali vede la presenza quotidiana di almeno dieci relatori (talvolta, come a San Sabastián o a Identità Golose, ci sono due sessioni contemporanee, il che raddoppia o quasi il numero delle relazioni). Ogni relatore in media si esibisce per quaranta minuti (che possono anche aumentare nel caso la relazione comporti anche una dimostrazione di cucina). La tendenza è comunque quella di aumentare il numero degli interventi per congresso. Basti pensare che a Identità Golose si è passati dai 18 relatori del 2005 (prima edizione), ai 40 del 2006, ai 56 del 2007, per arrivare ai 70 dell'edizione di quest'anno. I fenomeni in atto a livello mondiale, dunque, sono due: cresce il numero dei congressi e, per ogni congresso, aumenta la “carne al fuoco”, ossia i temi, gli ospiti, l'attenzione mediatica. Insomma, di cucina si parla sempre di più, forse troppo.
Gli spagnoli - che credono fermamente nel marketing e nell'autopromozione - sono fra i più assidui frequentatori di festival, congressi e seminari: sui programmi degli ultimi anni ricorrono con una certa frequenza i nomi di Dani Garcia, Jordi Herrera, Martin Berasategui, Josef Roca, Juan Mari Arzak, Quique Da costa, dello stesso Ferran Adrià. Gli chef italiani di prima fila sembrano invece un po' meno presenzialisti e limitano le loro uscite a una media di due o tre appuntamenti l'anno. Ma ai congressi ci vanno volentieri. Perché i meeting di cucina d'autore sono diventati sì una moda, ma sono ancora recepiti come occasioni per aprirsi a nuovi orizzonti, per sperimentare tecniche innovative o così antiche da essere sparite dal vocabolario.

Un bilancio dei costi e benefici

Cerchiamo di vedere con quale rapporto costi-benefici. In generale, gli chef invitati in qualità di relatori vengono spesati di tutto (viaggio, vitto, alloggio) e per la durata della loro presenza, che può andare da uno a tre giorni o più. Nei congressi che comportano anche dimostrazioni live, attrezzature e ingredienti sono quasi sempre messi a disposizione gratuitamente. Sotto forma di gettone di presenza o di rimborso spese forfetario, lo chef relatore percepisce una sorta di compenso indiretto, che va da poche centinaia a due-tremila euro nei casi più fortunati e per impegni che superano i due giorni di presenza. A suo carico restano le spese sostenute per eventuale personale al seguito e per i prodotti semilavorati che si porta da casa, e soprattutto il mancato guadagno derivante dalla eventuale chiusura del locale.
«Credo che nessuno chef vada ai congressi per denaro, perché è comunque più quello che si perde di quello che si guadagna -spiega Norbert Niederkofler (St. Hubertus), stella del firmamento Michelin, reduce in qualità di relatore da Gusto in Scena, a Venezia -. Una forma di “indennizzo” è sempre prevista, ma non parlerei di compenso. Dal canto mio, intervengo a un paio di congressi l'anno, non di più, e solo quando il St. Hubertus è chiuso. Per rispetto dei clienti». Contrariamente a quanto accade in Francia o in Spagna, dove i ristoranti restano aperti praticamente tutto l'anno e si avvalgono di una perfetta organizzazione imprenditoriale.
Accusato di essere più in giro per il mondo a parlare di cucina che tra i fornelli, Alain Ducasse, da perfetto imprenditore di se stesso, dice: «Quando una persona va al ristorante, deve preoccuparsi di mangiare bene, non di sapere chi c'è o non c'è in cucina». In Italia invece, nonostante tutti dichiarino di avvalersi di staff affiatati, è diffusa la convinzione che il cliente sia attirato dalla figura dello chef più che dal ristorante in sé.
Ma congressi o meeting non sono gli unici momenti in cui lo chef esce dalle proprie cucine. Perché oggi il ristorante, assolta la sua funzione di luogo dove vengono somministrati i pasti, tende a diversificare il proprio business in svariate iniziative esterne in cui lo chef è protagonista assoluto. Come gli stilisti possono dar lustro con il proprio nome a piastrelle, profumi, penne, allestimenti speciali di automobili, anche gli chef sono diventati dei veri e propri brand, richiesti per firmare catering, consulenze, presentazioni di nuovi prodotti gastronomici, succhi di frutta, sughi, pentole.

Conviene cercare delle sponsorizzazioni

In tutte queste operazioni, i guadagni dipendono dai contratti stipulati singolarmente da ogni chef. Per quanto riguarda nello specifico i meeting di alta cucina, che in questo quadro rappresentano dunque, una voce assai meno ricca dal punto di vista degli introiti, va detto che più è prestigioso un congresso, meno c'è la necessità di “invogliare” uno chef già affermato con sostanziosi ingaggi (o rimborsi spese che dir si voglia). E a volte, più che la promessa economica, giocano la credibilità e l'autorevolezza del soggetto organizzatore. «Certo, oggi ci sono troppi congressi in giro, e non sempre veramente utili - dice Massimiliano Alajmo, rientrato da Identità Golose, manifestazione di cui è stato testimonial fin dalla prima edizione -. Per quanto mi riguarda cerco di bilanciare la necessità, la voglia di essere in cucina con l'altrettanto importante desiderio di partecipare ai momenti di aggregazione e confronto offerti dai meeting che contano, organizzati da persone competenti». Sul fronte delle spese da sostenere, a volte lo chef invitato a tenere una relazione ha la necessità di avvalersi - oltre che di personale e di ingredienti particolari - di supporti audiovisivi dedicati, che con il meeting esauriranno la loro funzione.«L'anno scorso siamo intervenuti alla prima edizione del congresso di Pamplona “Vive las verduras” - spiega Raffaele Alajmo, fratello di Massimiliano e manager delle Calandre -; per accompagnare la nostra relazione dedicata al radicchio abbiamo dovuto produrre un video-cd che ci è costato circa 2500 euro. Il congresso ci ha rimborsato le spese di viaggio e soggiorno, ma siamo riusciti a coprire i costi vivi del cd grazie al contributo del Consorzio del radicchio trevigiano. Ma certo nessuno ci ha rifuso del tempo impiegato per l'ideazione e la lavorazione del video. Le ricette le abbiamo poi inserite in menu, perciò è stato tempo speso bene».

All'estero sono coinvolte le istituzioni

L'impressione, comunque, è che in altri Paesi - specie dove l'alta cucina rappresenta una strutturata voce imprenditoriale - i congressi dispongano di budget piuttosto ricchi. Tanto per non andare troppo lontano, in Catalogna e nei Paesi Baschi, regioni dotate di forte autonomia, sponsor e istituzioni investono volentieri nel settore. E dato che la gastronomia è ritenuta bene da promuovere i congressi godono di finanziamenti pubblici.
Ma anche oltreoceano gli chef sono molto coccolati. «Quando mi invitano, vado volentieri negli Usa - racconta Mauro Canaglia, chef della Trattoria all'Angelo di Piovene Rocchette (Vicenza) che in passato ha lavorato al Dining Room di Atlanta, a fianco dello stellato Guenter Seeger. Nel 2001 sono stato invitato al The Cloister, a Sea Island (Georgia), per il “17th Annual Food & Wine Festival”. Ogni chef doveva presentare un menu di 5 portate per 150 ospiti. È stato uno fra i migliori momenti di scambio culturale. In questo caso, The Cloister ha pagato tutte le spese di viaggio e soggiorno di una settimana per me e mia moglie. Ho dovuto chiudere il ristorante, ma ne è valsa la pena».
E gli “juniores” cosa pensano dei congressi? Alberto Tonizzo, giovanissimo chef del ristorante Al Ferarut di Rivignano (Ud), ama frequentare fra il pubblico i più importanti appuntamenti nazionali: «Eventi come Alpe Adria Cooking o Identità Golose non solo offrono la possibilità di percepire le tendenze in atto, ma sono anche una vetrina per conoscere nuovi prodotti e nuove tecnologie». Gli fa eco Enrico Bartolini (Le Robinie di Montescano, Pavia): «I convegni sono la tribuna ideale per raccontarsi e farsi conoscere. Anche se non posso farlo spesso, mi piace andare ai congressi, sia da relatore che fra il pubblico. Come si comportano i clienti quando non ci sono? Qualcuno storce il naso, ma stiamo cercando di abituarli: la vera star non è il cuoco, ma il prodotto».

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