Operazione speakeasy

Cocktail Club –

Altro che drink. Sono i piccoli dettagli come il telefono rosso del Pdt o l’ambiente sepolcrale del Death & Co. a fare la differenza a New York. Il racconto della nostra infiltrata, una cocktail geek

New York non dorme mai e non per mancanza di sonno. La nightlife offre esperienze per tutti i gusti. Specie per noi cocktail geek, i secchioni del cocktail, attirati da una miscelazione di altissimo livello. Il leit motiv nella Grande Mela è menù brevi, 15 drink al massimo, preparati con ingredienti di ottima qualità, prodotti freschi, preparazioni home made. Tutti i migliori bartender del mondo, o da un lato o dall’altro, hanno calcato i banconi della città. Le tracce del passaggio di molti di loro rimangono indelebili nella storia del cocktail. Penso a una signora come Audrey Saunders, enfant prodige del Cocktail King Dale Degroff. Il suo Pegu Club, elegante lounge bar nel cuore di Soho, si è subito inserito tra i pilastri della miscelazione newyorkese con Audrey, cent’anni dopo Ada Colemann al Savoy di Londra, a rappresentare il gentil sesso dietro al bancone. Tuttavia noi noiosi professionisti del settore siamo sicuramente una minuscola percentuale nella clientela abituale di questi luoghi, e, probabilmente, anche i meno amati. Ma perché un ospite ignaro o quasi di ciò che accade dietro questi banconi decide di entrare in uno di questi templi del bere? La risposta è un telefono. E un orso. I dettagli memorabili sono la chiave del successo dei migliori cocktail bar della città. Tra questi spiccano i locali “speakeasy”, che riprendono l’idea dei bar clandestini dove durante il Proibizionismo si vendevano alcolici di contrabbando. L’ingresso era segreto e nascosto, e spesso per entrare serviva una parola d’ordine. Questo modello ha appassionato gli americani a tal punto da rendere quasi necessaria una password anche per entrare al supermercato.

Un caso di scuola

Gli speakeasy style bar sono spuntati come il prezzemolo. Il Milk and Honey, aperto nel 2000 dall’ormai leggendario Sasha Patraske, è stato il primo nel suo genere. Per arrivarci bisogna avere l’indirizzo esatto e una volta giunti a destinazione, si ha l’assoluta certezza di essere nel posto sbagliato. In un losco vicoletto di Chinatown, tra negozi di varia oggettistica e macchine parcheggiate a castello, il numero 134 corrisponde a una porta di metallo con accanto una finestra sbarrata chiusa da lucchetti massicci. Quando ci si rassegna all’idea di andarsene, complice una telecamera nascosta, la porta si apre. L’interno è buio, le pareti in mattoni, il bancone è minuscolo. Sembra che l’abbiano infilato nel locale giusto perché non potevano farne a meno. Ci si affida ai consigli del barista: di una lista, ovviamente, neanche a parlarne.
Altro ingresso memorabile è quello del Pdt, il più famoso speakeasy bar al mondo. Qui si entra da una porta nascosta all’interno di una cabina del telefono. La cabina a sua volta è collocata in un angolo del negozio di hot dog dall’insegna Crif Dogs. Digitando un numero si apre una porta et voilà, benvenuto al Please Don’t Tell. L’immagine per chi, ignaro, mangia tranquillo un hot dog, è da Candid Camera. Immaginate di vedere gruppi di persone infilarsi in cabina. E non uscirne. All’interno del locale, animali impagliati affollano le pareti. Se si è sfortunati, uno sgabello al lato del banco è situato esattamente sotto un grosso orso bruno che cercherà di abbracciarvi per tutta la permanenza. Il premio assoluto dell’ingresso più nascosto spetta all’Employees Only, dove dei grossi tendoni coprono completamente la vista del locale. Ad accogliere gli ospiti in questo speakeasy c’è una saltellante ragazza vestita da chiromante che propone una lettura della mano per soli venti dollari.

Un marchio che resta nella memoria

All’Employees Only il motivo conduttore è la generosa esposizione del marchio. I bicchieri hanno il logo del locale, così come le camicie dello staff, gli oggetti alle pareti, i tovaglioli, i fiammiferi e le cartoline omaggio. Sul menù sono in vendita i due libri di cocktail con le ricette più famose firmate dai bartender del locale. Insieme allo scontrino viene lasciata una cartolina con i cinque soci vestiti da gangster. Questo nel caso si rischiasse di dimenticarsi di loro. Al Death & Co. niente chiromanti, ma un ingresso da fare invidia alla porta dell’inferno: grandi blocchi di legno scuro illuminati da una luce sinistra fanno da cornice a un grande maniglione dalla forma serpentina e alla scritta Death & Co., incisa su una pietra sotto la porta. L’interno è molto buio con qua e là una selezione di teschietti e oggetti macabri. No, niente a che vedere con la casa stregata del Luna Park o con certi pub turistici del paese di Dracula. Qui fortunatamente il buon gusto ha la meglio.

Nella botte piccola sta il Tequila buono

Poco distante dal Death & Co., al Mayahuel, regna tutt’altra atmosfera. In questo piccolo locale da romantica notte messicana, si bevono solo drink a base Tequila e mezcal. E non si sente la mancanza di tutto il resto. Sul bancone, bene allineate e riposte in una scatola di legno, si intravedono tante piccole bottiglie dai misteriosi liquidi colorati. Non si tratta di sciroppi o infusi fatti in casa, ma semplicemente di vermouth dolce, liquore al caffè, Chartreuse, Campari ecc. Così si scopre che anche i best bar di New York hanno i loro problemi di spazio. Comunque si sa: non contano le dimensioni, ma come queste vengono sfruttate.

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