Lounge esotico, ma in alta quota

Atmosfere –

Il Castore Lounge di Gressoney, salotto di montagna, è la sesta “creazione” di Marinella Colombo: scappata giovane dall’Italia, dopo la laurea alla Sorbona si è specializzata in gestione di locali

Nel 2003 all'alba del fenomeno lounge, quando i locali-salotto erano poco diffusi perfino nelle metropoli come Londra e a Parigi, Marinella Colombo e Massimo Scheriani decisero di mettere in piedi il loro sesto locale, il Castore Lounge di Gressoney La Trinité. Probabilmente tra i primi salotti etnici d'alta quota, arredato con una profusione di cuscini e morbidi tendaggi, con tinte calde per le pareti e un banco dall'originale forma a onda. Un tentativo, singolare e riuscito, di trasferire dal mare alla montagna le atmosfere mediterranee di Formentera, dove i titolari avevano appena concluso una fortunata esperienza nella ristorazione.

Scelte coraggiose e ripagate
«Ho sempre amato le sfide. A 25 anni con un diploma di perito commerciale in tasca sono partita per Parigi. Dopo la laurea alla Sorbona, ho capito che la cultura era una cosa e il lavoro un'altra. Nel 1981 ho aperto la prima crêperie a Gressoney Saint-Jean, quando ancora il grande turismo non era arrivato. In giro circolavano battute assurde. Del genere “crêpe fa rima con crepa” e si diceva che un locale così non avrebbe mai funzionato. Ho insistito. E mi sono messa a impastare le prime crepê della Valle, preparate con grano saraceno. E alla fine ho vinto la scommessa». Il fiuto di Marinella Colombo l'ha condotta a pensare locali sempre diversi. Anche nella proposta. Nel suo Castore Lounge, la tradizionale formula del locale da doposci, tutta birra e bombardini, è stata messa da parte. Nel suo locale di 100 metri quadrati, frequentato da molti clienti del nord Europa, ha puntato sui cocktail e una carta dei vini non scontata. Quattro comande su cinque sono di cocktail, Mojito in testa, un fatto raro, quasi unico, per un locale di montagna.

La nuova specialità della casa
«E poi c'è stata la scoperta del secolo: i fiori di ibisco selvatico. Li abbiamo usati per realizzare cocktail a base di Champagne. E da quel momento abbiamo incrementato le vendite di spumante: da quattro casse siamo passati a 10 alla settimana». I suoi Wild Ibiscus, diciamo “suoi” perché nel frattempo è diventata l'importatrice esclusiva, arrivano direttamente dal caldo outback australiano nella zona del Western Queensland: zucchero di canna, acqua di sorgente e ibischi raccolti all'alba, quando ancora sono chiusi, sono messi in un barattolo e fatti bollire a bagnomaria. Il risultato è un fiore dal sapore dolce, carnoso e croccante, e dal gusto a metà strada tra il lampone e il rabarbaro. Il prodotto viene conservato nello sciroppo di cottura e va a nozze con diverse specialità, liquide e solide: dallo Champagne ai cocktail tropicali come il Mojito. L'ibisco selvatico si sposa col risotto, con i formaggi e dà un tocco esotico anche agli arrosti. E da qualche tempo è diventato il fiore all'occhiello di questo singolare locale, creatura di una singolare imprenditrice.

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