I pezzi forti sono cambiati

Attrezzature –

Esotici, giapponesi, neoclassici, futuribili. Bargiornale alza il sipario sugli strumenti da bar che stanno facendo, e faranno, strage di cuori

Dimmi qual è il tuo strumento da bar preferito e ti dirò chi sei. La variante può essere “bar tool”, ma solo se l’interlocutore è straniero. Nove volte su dieci, come risposta al quesito, si scoprono risvolti professionali ma anche umani, inaspettati. Provate anche voi: rivolgete lo stesso interrogativo a un collega e vi mostrerà chi c’è davvero dietro la maschera. Perché il ferro del mestiere preferito è come un feticcio. Per alcuni è la coperta di Snoopy: l’oggetto inseparabile che se lo perdi non dormi la notte. Si può trovare il guru che fa l’esegesi di uno spremiagrumi, il poeta che declama l’apologia di un tre pezzi giapponese, il playboy che intona il canto del julep strainer e il virtuoso che suona l’assolo del gallone.

Una scarsa letteratura in materia

Eppure nei libri italiani che parlano di cocktail, da decenni, si continua a parlare sempre e soltanto dei soliti noti. Di regola, dopo le varie spiegazioni del termine “cocktail”, arriva il capitolo dell’attrezzatura indispensabile. In carta abbiamo il solito menù del giorno: shaker, colino, frullatore o blender, pestello, pinze caraffa di vetro o mixing glass. Poi arrivano in ordine gerarchico i bicchieri, i cocktail Iba o, in alternativa, quelli fashion. Ma questa è un’altra storia. Torniamo agli attrezzi. Tra i rari volumi che raccontano una storia diversa c’è “Il codice della miscelazione” firmato dal duo Antonio Malvasi e Matteo Esposto. Raro perché fornisce un glossario inedito dei pezzi adatti all’american bartending. Tutto il resto, per dirla alla Califano, è noia. A guardare bene, anche nelle pubblicazioni americane e inglesi, non ci sono sorprese particolari. Qualcosa però là fuori è successo. E queste pagine vogliono testimoniare il cambiamento in un settore, quello del bartending, che non è mai stato così vivace ed effervescente. Con il ritorno di fiamma del fenomeno vintage sono stati rispolverati strumenti antichi come il julep strainer, brevettato da Charles P. Lindley nel 1889 con la funzione di ritenere elementi solidi come ghiaccio, frutta e germogli. Un altro pezzo come il Gallone, nato secondo gli esperti a Venezia, ha riguadagnato terreno conquistando il cuore dei mixologist americani, da Jim Meehan del Pdt di New York in avanti. E poi c’è stata, trasversalmente, una nuova ribalta per il lemon squeezer, lo spremiagrumi manuale disegnato da J. W. Neal nel 1889 (proclamiamolo anno santo). Un bar tool che, più di altri, incarna una certa attitudine artigianale nelle preparazioni. Lo squeezer è diventato oggetto di tributi importanti, già a partire dagli anni Ottanta col Juicy Salif firmato da Philippe Starck ed entrato nella hall of fame del Moma di New York.

Twist on classic

Non si tratta chiaramente di un tentativo isolato di rivedere un classico in una veste moderna. Salvatore Calabrese, famoso nel mondo dei barman col titolo di The Maestro, ha disegnato all’inizio dell’anno per la Urban Bar un set completo di pezzi storici e rivisitati tra i quali lo shaker due pezzi, il colino Hawthorn, il julep e il bar spoon. La vivacità del settore è frutto, si capisce, di una maggiore e più rapida condivisione tra gli attori del banco. Tra manifestazioni dedicate (bar show), seminari, competizioni e soprattutto grazie alla rete il barman può entrare in contatto, con pianeti fino a qualche tempo distanti anni luce.

Giapponesi alla riscossa

Si pensi al caso del Giappone. Qui non si tratta di un Paese che ha inventato un singolo cocktail e lo usa come portabandiera, ma di una vera tradizione di lavoro, che usa strumenti specifici per la lavorazione del ghiaccio, per i versaggi e la miscelazione. Un universo parallelo che include forchettoni, punteruoli, jigger snelli e mixing glass bonsai fanno parte ormai del corredo di tanti cocktail bar di tendenza al di fuori del Giappone. Spira forte un altro vento ed è quello delle Hawaii. Questo mese a Roma (12-13 Jerry Thomas Speakeasy) e Milano (17-18 allo Spazio Energolab) approda per la prima volta Jeff Berry, il famoso Beachbum, senza dubbio il più grande conoscitore al mondo di Donn Beach e Trader Vic e di altri personaggi, e vicende, della cultura Tiki. C’è da presumere che vedremo sfilare attrezzature adatte al genere come stirrer colorati, tiki mugs, muddler, juice reamer (alesatore), frullatori super sonici, ombrellini cheap and chic, spadini per la frutta tropicale, bandierine Jolly Roger, oltre a teschi e scheletri di plastica vari per infiocchettare le miscele.
Non è difficile immaginare che la venuta del profeta americano farà da volano a una fede che sta trovando in Italia sempre più seguaci. Lo scorso anno Giorgio Negri e la sua Rg Commerciale, convocarono nel piacentino la prima nazionale del cocktail tiki. Fu un evento memorabile a cui parteciparono alcuni dei personaggi, da Dom Costa a Dario Comini, più influenti del bartending italiano. C’erano le camicie a fiori, i vulcani in ceramica, i blender col turbo e quell’aria di festa tipica di un beach party. Anche se eravamo nella piazza di Fiorenzuola d’Arda, anzichè a Honolulu.

Bar tools presi in prestito dal futuro

Dulcis in fundo conquistano sempre più spazio, tra banco bar e retro bar, le attrezzature per la molecular mixology e ai metodi da bar chef. Si va delle creature complesse come la macchina Rotavapor di Tony Conigliaro, creata per distillare vari ingredienti da cocktail, ai più “comuni” affumicatori istantanei e smoking gun, fino al Perlini, un sistema rivoluzionario capace di rendere effervescente qualsiasi tipo, o quasi, di ingrediente e di bevanda. Ci sono infine strumenti presi in prestito dai laboratori come la pipetta Pasteur e il Coso, marchio registrato da Comini. Il futuro dei bar tools è gia qui. Questo è solo il primo capitolo.

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