I maestri pasticceri sanno mettersi in bella mostra

Le più rinomate pasticcerie di Parigi affiancano all'eccellenza dei prodotti la cura maniacale per l'esposizione. Un tour visivo per imparare le tecniche di visual marketing a cui ispirarsi

Ci sono le collezioni, i nuovi arrivi della stagione, le anteprime, gli accessori, i prodotti iconici e tanto altro: le più rinomate pasticcerie parigine, ormai da tempo, hanno preso in prestito dall’alta moda l’organizzazione del punto vendita, con tanto di calendario degli eventi. Con il risultato di creare attorno ai propri prodotti un’immagine di ricercatezza, di esclusività e di lusso che ha portato la loro notorietà (e, come vedremo, anche molti dei loro brand), ben oltre i confini nazionali. Un tour di queste icone della pasticceria - da Pierre Hermé a Hugo et Victor, a Ladurée, per citarne solo alcune - permette di verificare sul campo l’efficacia delle tecniche di visual merchandising per valorizzare l’offerta e invogliare all’acquisto. Fin dalle vetrine esterne. Con l’aiuto di Giacomo Pini, esperto di marketing, abbiamo analizzato vetrine ed esposizioni e tratto una serie di indicazioni e suggerimenti facilmente applicabili e replicabili.

«I principi base per massimizzare l’efficacia dell’esposizione sono la verticalizzazione e la regola del tre - afferma Pini -. Mettere i prodotti in verticale, in forma piramidale, attira subito l’attenzione. E ripetere i moduli espositivi a gruppi di tre alla volta rafforza ulteriormente l’efficacia. Poi c’è l’uso dei colori: meglio sceglierne pochi, forti e incisivi. Metteteci un perfetto allineamento dei prodotti e un ordine quasi maniacale ed avrete l’esposizione migliore possibile. Sono regole di validità generale, applicabili a qualunque tipo di prodotto».

 

L’effetto rottura

Partiamo dalla vetrina esterna: il suo compito dovrebbe essere quello di catturare l’attenzione di chi passa, di incuriosirlo e di invogliarlo a entrare nel locale. Qui Pini cita, come punto di riferimento assoluto, Pierre Hermé: «Ogni locale deve darsi una propria identità, che lo renda unico e diverso da tutti gli altri. La vetrina di Pierre Hermé gioca in modo magistrale sull’effetto rottura, con un allestimento fuori dagli schemi, che non ti aspetteresti da una pasticceria. In questo modo cattura la curiosità e spinge a varcare la soglia del negozio». Una tecnica che ricorda le cassette di frutta o i carretti siciliani messi in vetrina da Dolce&Gabbana: «Per la vetrina esterna - afferma Pini - più ancora che mostrare il prodotto conta saper attrarre». Attenzione, comunque, a rispettare le regole d’oro: verticalità nell’esposizione, regola del tre, colori forti e immagine ordinata. Regole che, naturalmente, valgono anche per l’esposizione interna.

«Con qualche accorgimento in più - continua Pini -. L’illuminazione focalizzata sui prodotti fa in modo che l’attenzione del cliente venga catturata proprio da quello che abbiamo messo in vetrina. Una buona vetrina deve sempre dare un’idea di abbondanza, deve essere sempre piena. Il tanto nel cibo, invoglia. A patto, però, che sia ben ordinato e non esposto un po’ a casaccio».

Ottimizzare il lavoro

Le scelte espositive, oltre ad avere un’indubbia valenza estetica, che contribuisce a creare l’immagine del locale, hanno importanti riflessi anche sull’organizzazione e sul costo del lavoro che è sempre opportuno considerare. «Un banco tondo, come quello di Pierre Hermé - prosegue Pini - ha un duplice vantaggio: aumenta la gamma di prodotti in esposizione senza richiedere la presenza di più personale: un solo addetto basta a gestirla». Un confronto con la lunga vetrina di Ladurée rende chiare le diverse implicazioni dal punto di vista del personale. «La soluzione con le campane della Pâtisserie des rêves, pur essendo molto valida dal punto di vista scenografico, grazie anche all’esposizione su più piani, è meno funzionale e più complessa da gestire perché richiede un addetto dedicato».

Un altro piccolo dettaglio in grado di fare una grande differenza è l’indicazione, accanto a ogni prodotto, di nome, ingredienti principali e prezzo: specie quando l’esposizione è ampia e le specialità sono tante, il fatto che il cliente possa leggere da solo cosa c’è in vetrina risparmia a chi sta servendo una discreta quantità di domande e di richieste di informazioni («Cosa c’è lì dentro?», «Quanto costa?», «Contengono glutine?» ecc.). Che, tradotto, significa la possibilità di servire un maggior numero di persone nello stesso tempo: un’opportunità preziosa, soprattutto nei momenti di maggior affollamento del negozio.

Contenitori e colori

Per le aree da dedicare all’esposizione dei prodotti a libero servizio, Pini invita a prendere ispirazione soprattutto da Fauchon. Non una pasticceria in senso stretto (alle origini lo era), ma un concept che dal negozio gourmet oggi si articola in vari format, compresi il caffè e il ristorante: «La loro idea vincente - spiega - è stata quella che tutto deve stare in una scatola. Fauchon è riuscito a valorizzare il packaging in modo tale che la scatola è diventata quasi più importante del prodotto. Al punto che sono diventati un simbolo di eccellenza e di esclusività pur non avendo prodotti di certo validi, ma non di assoluta eccellenza come potrebbe apparire. Spesso però è proprio la scatola il motivo che spinge ad acquistare, al punto che si sono messi a vendere anche le sole confezioni vuote». Ma il packaging non è tutto: «Un’altra scelta magistrale è quella dei colori: sono stati i primi a scegliere colori caldi e toni accesi, che rimandano al concetto di festa. Con una accortezza fondamentale: occorre scegliere pochi colori e giocare sulla scala cromatica, per creare un’alternanza che catturi l’attenzione senza creare un effetto arlecchino che finisce per confondere lo sguardo». Anche per i prodotti d’impulso, un’esposizione ordinata è fondamentale: «Le parole chiave sono comodo e facile - spiega Pini -: l’occhio non deve fare fatica. Per questo deve capire in fretta cosa c’è ed averlo lì davanti a sé. In sintesi: una scelta limitata in termini di numero di varianti possibili e, soprattutto, immediatamente accessibile».

Il concetto chiave è quello di touch, che potremmo tradurre con l’espressione “a portata di mano”.

Isole e vetrine

Un’altra delle soluzioni molto funzionali adottata da Fauchon e adattabile a qualunque locale (compatibilmente con gli spazi disponibili) è quella delle isole per la vendita di prodotti. «Un’isola attorno a cui le persone possono girare, guardare e scegliere aumenta le vendite - spiega Pini - soprattutto se l’esposizione risponde ai criteri del visual merchandising di cui abbiamo parlato: verticalità, regola del tre, scala cromatica e, soprattutto, un ordine e un allineamento dei prodotti quasi maniacale. Più isole ci sono, più aumentano le opportunità di vendita, anche se poi va considerato fino a che punto si riescono a gestire con il personale esistente, come abbiamo già evidenziato».

Un altro spunto interessante arriva dalle vetrine a muro che caratterizzano l’allestimento di Hugo et Victor: «Chi ha uno spazio angusto - spiega Pini - può cercare di impreziosirlo e valorizzarlo con delle vetrine a incasso. Idealmente, dovrebbero essere utilizzate per dare risalto e importanza ai propri “gioielli”, quei prodotti di lusso che magari non vendono molto ma fanno immagine. E comunque è sempre opportuno mettere un cartellino con la descrizione del prodotto e l’indicazione del prezzo, per evitare che persone che potrebbero comprarlo per un’occasione speciale restino intimidite dall’aspetto lussuoso e non si avvicinino nemmeno».

Detto tutto del visual merchandising e della capacità di valorizzare al meglio tutto ciò che viene prodotto e/o venduto, vale la pena soffermarsi su un ultimo punto, dal lato imprenditoriale forse il più interessante. La capacità di trasformare una boutique in una catena. A eccezione di Hugo et Victor, che ha comunque tre negozi a Parigi, gli altri marchi sono oggi delle multinazionali con decine di negozi tra Europa, Medio Oriente e Far East.

Da boutique a catena

Se nel caso di Fauchon e di Ladurée la crescita è merito di imprenditori “nuovi”, che hanno comprato il marchio e lanciato un piano di espansione internazionale, negli altri casi (Pierre Hermé, Pâtisserie des rêves, Hugo et Victor) è frutto della capacità, da parte del pasticcere, di scegliersi come partner un imprenditore: Pierre Hermé ha Charles Znaty, Philippe Conticini (Pâtisserie des rêves) ha Thierry Teyssier, Hugues Pouget (Hugo et Victor) ha Sylvaine Blanc. Nei tre casi, l’ingresso in società del nuovo socio è coinciso con l’inizio di un piano di sviluppo e di espansione del marchio a livello internazionale: oggi Pierre Hermé mette il proprio nome su oltre 40 negozi nel mondo e di Pâtisserie des rêves ce ne sono una decina tra Francia, Inghilterra e Giappone.

L’esperienza di questi grandi pasticceri francesi dimostra come, con le competenze giuste, si possa coniugare l’alta qualità artigianale con un progetto imprenditoriale. Ed è questa la lezione più interessante da imparare guardando le loro boutique ai 4 angoli del pianeta. ↔

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome