Alla corte di Bangkok trionfano i corner bar

Formule –

Il paradiso dei corner bar lo abbiamo scoperto nella capitale della Tailandia: il Siam Paragon, una tra le più grandi food court del Sud Est Asiatico. Su una superficie di 15mila metri quadrati un’offerta che spazia dai bar specializzati in prodotti benessere a quelli dedicati alle specialità di pa

Le hanno battezzate “food court” o “food hall”. Sfogliando il dizionario dei format commerciali troviamo la definizione. Trattatasi di superfici smisurate, di solito all’interno di mega complessi commerciali, dedicati al culto del cibo: dai gelati ai pasticcini, dagli smoothie ai brownie. Nel centro di Bangkok, in Tailandia, abbiamo visitato uno dei centri più grandi dell’Asia. Un gigante di quindicimila metri quadrati dove trovano spazio alcune delle più celebri insegne internazionali: Tony Roma’s, McDonald’s, Kfc, Häagen-Dazs, Burger King, Swensen’s Ice Cream, Dairy Queen, per citarne alcune. E spalla a spalla con le loro vetrine una cinquantina di ristoranti, tra giapponesi (dal Fuji al Kabuki) e tailandesi.

Un contenitore monumentale

Siamo al piano interrato del Siam Paragon, un centro commerciale autonominatosi “senza paragoni”, dove puoi trovare di tutto. Da una Lamborghini gialla a un paio di scarpe di Manolo Blahnik direttamente dal set di Sex and the City. Di certo è un centro commerciale senza rivali nel Sud Est Asiatico. Ci troviamo di fronte a un complesso di shopping e d’intrattenimento di fascia alta, di cinque piani, un colosso di 500mila metri quadrati di superficie di vendita di cui 15mila di food court. Lanciato nei primi mesi del 2006, è costato 15 miliardi di baht (oltre 330 milioni di euro) e ospita più di 250 famosi marchi del lusso sia internazionali sia locali.

Dimenticatevi i centri commerciali

Diamo un’occhiata più da vicino. Intanto siamo di fronte a un luogo diverso. Molto distante dal vecchio concetto di centro commerciale al quale eravamo abituati fino agli anni Novanta. Un altro mondo rispetto a quelli che l’antropologo francese Marc Augé definiva nel suo libro “Nonluoghi”, ovvero spazi impersonali, ingrigiti dal cemento e dall’architettura simile a una scatola da scarpe. Abbiamo davanti agli occhi un contenitore moderno, con una forte identità e curato in ogni minimo dettaglio architettonico. Una nuova “piazza” che attira non solo i turisti e i patiti dello shopping di lusso, ma anche famiglie e alcune giovani tribù, abbigliate come i protagonisti di un cartone animato giapponese. Si danno appuntamento davanti all’ingresso per prendere un gelato o un caffè all’italiana nei tanti corner bar a tema. Ciò che distingue un bar tradizionale da questi nuovi spazi è soprattutto la caratterizzazione. Detta in altre parole l’immagine coordinata. Trovi, per esempio, il bar specializzato in succhi, centrifugati e spremute dove tutto è tematizzato, dai bicchieri alle divise, oltre ovviamente alle voci nel menu. E, pochi metri più in là, uno snack bar che sforna patatine di tutte le forme, aromatizzate a ogni gusto possibile e immaginabile. E tutto in uno spazio che, tra zona di mescita e area di servizio, non supera in media i 45 metri quadrati.

Angoli bar all’italiana

«In Italia questi format sono ancora una rarità, ma sono destinati a crescere perché sono spazi ad alta funzionalità. Con un investimento minimo e personale ridotto all’osso possono garantire alti profitti. Intorno al 30%, per capirci. Specialmente quando sono collocati in zone di grande passaggio, nei centri commerciali, ma non soltanto lì». Questo è il parere di Oscar Cavallera, direttore di Bar University, un esperto della realtà internazionale. «Nel mondo sono in crescita i corner bar specializzati in succhi di frutta (juice bar) e le micro caffetterie. Sul mercato italiano andranno forte gli spazi che puntano al benessere e al mondo del biologico: juice bar, salad bar, le insegne del biologico e tutti quelli che, in generale, favoriscono il servizio d’asporto e il consumo “on the go”». Consideriamo anche i punti deboli dei corner bar. Intanto se non c’è una forte caratterizzazione visiva, quello che in termini di marketing si chiama “visual”, il posto non funziona. Il locale deve raccontare una storia, avere una forte identità e poi trattandosi di uno spazio di dimensioni ridotte deve possedere un’ergonomia a prova di navicella spaziale. Niente può essere lasciato in disordine, altrimenti il pubblico non ti vede e passa al prossimo corner bar.

Oltre ai locali un grande emporio

Il rischio, in posti come la food court del Siam Paragon di Bangkok è la dispersione. O, vista dalla prospettiva del cliente, l’imbarazzo della scelta. E qui le opportunità non mancano di certo. All’interno della corte non troviamo solo locali e take away, ma anche la “food gallery”, un lussuoso emporio con una cornucopia di delizie culinarie da tutto il mondo, asiatico e non. All’ingresso di questo luogo, comunicante ma separato dalla “food court”, viene consegnata una speciale tessera da usare come carta di credito. Si riempie il cartello e all’uscita si paga il conto. Di solito molto salato.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome