Alcol, vince il senso della misura

Inchiesta –

Barman tentatori, barman furfanti, barman che esagerano. Ma è davvero tutto così? Le nostre fonti dicono di no. Abbiamo incontrato associazioni, scuole alberghiere, istituti e tanti professionisti coscienziosi, per farci raccontare la loro battaglia quotidiana a favore del bere responsabile

C'è aria di disinformazione. Il cocktail è un mostro sbattuto troppo spesso in prima pagina. Forse il problema è che nello stesso calderone si mescolano usi e abusi. Di rado si fa cenno alla cultura del bere, a un modo ¿sano¿ di vivere le bevande alcoliche, distante dagli eccessi. Un modo che tra parentesi ha radici salde nella nostra tradizione. I brindisi fanno parte dei riti religiosi, suggellano amicizie, alleanze, nuovi e vecchi amori. Nel ¿social drinking¿, o ¿bere consapevole¿, si brinda non per il gusto di stordirsi, ma per il piacere di assaggiare qualcosa di buono in compagnia. Una modalità di consumo lontana anni luce dal bere compulsivo (binge drinking) o peggio dalle gare di chupiti (professional drinking). Troppi però tendono a fare di ogni erba un fascio. E condannano l'alcol e chi lo serve. D'accordo, come in ogni campo ci sono gli incoscienti, i disgraziati, ma non generalizziamo. Per questo pensiamo sia giusto dare visibilità a chi dall'altra parte del banco sta in modo serio, professionale: ai barman che, giorno e notte, si danno da fare per trasmettere la cultura del consumo (e servizio) responsabile. Ne citeremo alcuni, ma solo per motivi di spazio.

Circuiti del cocktail consapevole

Il fiduciario dell'Aibes Veneto - Trentino Alto Adige, Roberto Pellegrini, ha ideato il concorso ¿Circuito del cocktail consapevole¿, un evento in quattro tappe che ha toccato il Caffè Pedrocchi di Padova, Piazza Fontana a Bibione, l'Hotel Gritti Palace e il Caffè Quadri di Venezia. A differenza di altri concorsi realizzati dall'Associazione dei barman, si trattava di proporre cocktail a basso tenore alcolico (dai 10° ai 13°). L'iniziativa poteva rivelarsi un fiasco, perché costruire una buona ricetta partendo da basi alcoliche leggere è un affare complesso. Ci vuole maestria. Ma quei barman hanno saputo dimostrare che si può proporre un buon alcolico, senza esagerare. Qualcuno però si mostra disilluso. Sul blog di Emergenza Alcolismo un commento recita così: ¿se il cocktail a 13° è consapevole, la birra a 5° come minimo è filosofa. La prevenzione ai problemi alcol correlati non si fa promuovendo l'alcol¿. Ma nemmeno criminalizzandone l'uso. Il problema, insistiamo, è l'abuso. Abuso che per dirla con le parole di Roberto Pellegrini, lontano dall'essere risolto, può e deve essere gestito. L'esperienza in Veneto non è isolata. Al cinque stelle Hermitage all'Isola d'Elba, durante l'ultima edizione di Elba Drink, una competizione classica, i barman dell'isola, in accordo con Asl e Polizia Stradale, hanno lanciato una categoria di cocktail a contenuto alcolico controllato. Il concorso, in collaborazione con Bacardi-Martini, ha avuto come protagonisti i ¿drink salvapatente¿ che consentono, alcoltest alla mano, di rientrare nei limiti imposti dal Codice della strada. «Abbiamo lanciato questa iniziativa e speriamo di replicarla anche la prossima estate. Fa parte di un impegno preso verso la cultura del bere responsabile che cerco di divulgare anche ai ragazzi dell'Istituto alberghiero di Portoferraio in cui insegno. Nella mia attività didattica collaboro anche con i Sert, centri che si occupano di dipendenze, anche da alcol. Gli educatori entrano in aula e fanno lezione, illustrando le differenze tra uso e abuso di alcolici. Fanno, in due parole, informazione su quello che si dovrebbe fare per diventare professionisti responsabili». A intervenire è Marco Giovarruscio, coordinatore dell'Elba Drink, che grazie all'iniziativa è pure riuscito a raccogliere fondi da donare all'Anca, l'Associazione nazionale contro l'alcolismo.

Dalle scuole maggior attenzione

Educare le giovani leve è di importanza vitale. Bisogna insegnare ai ragazzi che un giorno saranno alla guida di un banco, a maturare una coscienza critica, una consapevolezza. Stanno insistendo sul tema vari istituti alberghieri. Nella pagina del gruppo di Bargiornale di Facebook, inaugurata il mese scorso, il primo argomento di discussione lo ha lanciato un Ipssar e riguarda proprio questo tema. Parliamo dei docenti del dipartimento di ¿sala e bar¿ del ¿G. Rossini¿ di Napoli che hanno ideato il progetto ¿I Giovani e l'Alcol¿, che mira a tenere lontano i giovanissimi dall'alcol e a educare i più grandi a un consumo coscienzioso. «Ci sono tanti modi - racconta Sandra Haruko Civieri, bartender del Caffè Pedrocchi di Padova - per servire in modo consapevole. A cominciare dal rispetto delle ricette. Se si restasse fedeli alle dosi di alcolici previste dai ricettari ufficiali, in giro ci sarebbero meno bombe e più cocktail decenti. Il problema è che troppi sperano di accattivarsi le simpatie del cliente caricando le miscele».

Una patente per i bartender

Dello stesso parere è Anselmo Cazzarò, barman italo-canadese cresciuto professionalmente nel Nord America, e autore di uno scioccante video sui pericoli dell'abuso di alcol (da guardare sul sito Working Flair Bartending School).«L'alcol è una cosa seria. Può far danni se usato male. Per servire alcol in Canada, è richiesta una vera patente di barman, che è rilasciata dopo un lungo training professionale e un corso di primo soccorso. Ci sono tanti controlli e se ti beccano a ¿caricare¿ i cocktail, rischi grosso, fino al ritiro della licenza. Per questo molti bartender usano il misurino. Sarebbe ora di istituire anche in Italia la patente di barman professionista, un Ordine professionale, a tutela del consumatore».
Abbiamo girato la questione a Giorgio Fadda presidente dell'Aibes, associazione da poco sostenitrice del Progetto Leonardo che ha tra i suoi obiettivi anche quello di diffondere, in tutte le scuole alberghiere d'Europa, la cultura del bere responsabile. Giorgio Fadda risponde entusiasta, ha appena saputo che anche la federazione greca e cipriota hanno aderito al progetto. «La patente di barman è un'ottima idea su cui stiamo lavorando da un po'. Nel nostro mondo servono regole, un codice deontologico. Dietro i banchi bar devono esserci persone mature e professioniste. Da quando hanno tolto l'obbligo delle licenze, chiunque può somministrare alcol, anche se non ha mai frequentato un corso, uno qualsiasi. È venuto il momento di tutelare la professionalità istituendo una vera patente». I più attivi nel fare promozione del consumo consapevole, per ammissione dello stesso presidente dell'Aibes, sono soprattutto i giovani barman. Un segno che i tempi stanno cambiando. Che forse le nuove generazioni non sono così malaccio rispetto a quelle passate. Auspichiamo che i giovani bartender proseguano dritti su questa strada, affiancati da scuole e associazioni, oltre che dalle aziende del beverage, che si sono mosse (e si muoveranno) in modo attivo su questo fronte. Nella pagina a fianco abbiamo raccolto alcuni ottimi esempi. Per il futuro ne attendiamo altri. Nell'attesa, brindiamoci su. Consapevolmente, si capisce.

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